Quella di oggi è stata una delle giornate più caotiche e controverse sul fronte politico da diversi anni a questa parte. Non solo ne viene fuori un’Italia profondamente divisa, e questo è cosi da anni, ma anche una classe politica ormai completamente alla deriva, che, in modo del tutto trasversale a tutti i vari schieramenti, sta attraversando una fase di caos generale caratterizzato da cambiamenti radicali, dietrofront e rinnegamenti al limite dal paranormale. Non v’è dubbio che, al crollo delle ideologie, sia seguito quello degli ideali e dei valori. Oggi si sono scontrate due Italie, difficili da analizzare in modo netto, ma facilmente ricollegabili a due modi diversi di concepire il futuro di questo Paese. Nel mezzo di questo scontro forse epocale e, comunque, ricco di lacune, si trovano altri figuranti, più o meno importanti (per non fare nomi, Berlusconi ed Alfano!), che, nel tentativo di non morire dinanzi agli occhi del popolo italiano e di riciclare se stessi, sono arrivati persino a riciclare idee e progetti altrui, in un pericoloso e perverso gioco fatto di scambi reciproci e rigidi ribaltamenti di fronti di lotta.
E cosi, alla Leopolda, secondo il Premier Matteo Renzi, che dichiara di non voler fare più di due mandati come Presidente del Consiglio, ci sarebbe l’Italia che lavora, anche se rispetta la piazza della Cgil, e che starebbe ponendo le basi per la costruzione di un percorso nuovo, fatto di progetti, proposte ed impegni che provengo direttamente dalla società civile, considerata in tutte le sue sfaccettature. E ci sono anche i cosiddetti potenti, e sono in tanti, anche tra coloro che, secondo la parlamentare del Pd, Rosy Bindi, avrebbero finanziato la Lepoloda. C’è anche chi, come il proprietario del Fondo Albebris, Davide Serra, ritiene di dover limitare il diritto di sciopero dei lavoratori pubblici perché, secondo il suo punto di vista, lo sciopero non sarebbe solo un diritto ma anche e soprattutto un costo nell’ottica della manovra economica. La Leopolda, vista in questi termini, diventa un laboratorio di idee e di critica costruttiva, di discussione e di progettazione.
Ma a Roma, cosa succede a Roma all’evento organizzato dalla Cgil, che ha indetto una imponente manifestazione per protestare contro una manovra finanziaria ideata da un Governo di centro-sinistra? A Roma, assieme alla Camusso e alla minoranza del Pd, con l’aggiunta di qualche altro pezzo del partito, ci sono la Camusso, i dirigenti della Cgil e circa 1 milione di persone (secondo l’organizzazione) appartenenti a tutte le categorie sociali a tutti gli ambiti lavoratovi, giovani compresi. Secondo il segretario generale, in effetti, quella di oggi non è da intendersi come una manifestazione sporadica, quanto piuttosto come l’inizio di una stagione di proteste che potrebbe portare persino allo sciopero generale. Le questioni affrontate sono quelle che hanno animato lo contro politico sindacale, nonché interno alla stessa classe politica, delle ultime settimane: dalla riforma del lavoro e, quindi, dall’articolo 18, che non andrebbe abolito ma esteso, alla legge di stabilità, dai tagli alla condivisione di nuovi obiettivi.
Sullo sfondo lo scontro interno al Pd, tra coloro che hanno organizzato e voluto l’incontro alla Leopolda (Boschi, Serracchiani, Picierno, Bonafè, Crocetta e tanti altri) e chi, invece, era in piazza (D’Attorre, Civati, Bindi, Cuperlo, Fassina e qualche altro) che, tuttavia, ha dichiarato di essere lì non per manifestare contro Renzi ma “per il lavoro e lo sviluppo, per correggere il Jobs act e la legge di Stabilità”.
Ma Jobs act e legge di stabilità non sono frutto del lavoro dell’attuale Governo di cui è Premier proprio il segretario del Pd, il quale difende strenuamente la bontà del lavoro svolto dall’esecutivo fino ad ora? Chi non vede contraddizioni in tutto questo, alzi la mano.