La riforma del lavoro e la legge di stabilità devono procedere di pari passo. È proprio su questi due pilastri che si deve edificare quella impalcatura che consentirà di (ri)costruire la ripresa economica del nostro Paese e la successiva crescita. Questa è, infatti, l’impostazione condivisa dagli esponenti del Governo e dalla maggioranza, variegata e controversa, che lo sostiene. I recenti impegni assunti dal Governo, sebbene il Def abbia lasciato perplessità e scetticismo da non sottovalutare, in effetti, sembrano proiettare l’azione politica proprio in questa direzione. Tuttavia se, il taglio dell’Irap e l’eliminazione per tre anni dei contributi con riferimento ai neoassunti, da un lato, hanno visto l’approvazione del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, dall’altro, hanno suscitato sentimenti contrastanti all’interno del controverso mondo sindacale. Secondo Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, infatti, la legge di stabilità e le riforme progettate dall’attuale esecutivo, prima fra tutte quella del lavoro, non consentiranno di ottenere i risultati sperati, ovvero il superamento della recessione e l’incentivazione degli investimenti e delle assunzioni, che dovrebbero invece essere riconsiderati nell’ambito di un piano concreto più efficace. Di parere opposto è ovviamente il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che, sulla legge di stabilità, ha detto che non verranno alzate le tasse sui comuni e che “c’è un cuscinetto, un’area, che vale circa 2,5 miliardi” che potrebbe fungere come “valvola di sicurezza”. Sul Jobs act, invece, ha affermato che non ci sono ragioni per apportare modifiche alla Camera “perché – ha precisato – la maggioranza ha assunto un orientamento, ha votato una fiducia al Senato”.