di Katia Germanò – Era il 13 agosto 2014 quando Legambiente in un articolo sul suo sito web ed al FestAmbiente – il festival nazionale dell’Associazione che si tiene in Maremma, a Rispescia (GR) – ha lanciato un messaggio al Governo sul rischio idrogeologico: “Per evitare con l’arrivo dell’autunno l’ennesima tragica conta di danni e vittime per frane, alluvioni e allagamenti è fondamentale agire in tempi brevi, con risorse e misure adeguate”. Purtroppo non è passato neanche un mese e si è verificato in Puglia il primo tragico episodio, ed adesso il secondo in Liguria. Da sud a nord, l’Italia si trova da anni nella stessa identica situazione: un forte rischio idrogeologico reso ancora più intenso dall’azione dell’uomo sul territorio. I cambiamenti climatici, la sconsiderata gestione del territorio, la mancanza di una efficace politica di prevenzione e di convivenza con il rischio sono alla base delle tragedie che, soprattutto negli ultimi 10 anni, hanno colpito in modo grave la nostra nazione.
“Sono ben 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale; oltre 6 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni. In ben 1.109 comuni (l’82% fra i 1.354 analizzati nell’indagine) sono presenti abitazioni in aree a rischio e in 779 amministrazioni (il 58% del nostro campione) in tali zone sorgono impianti industriali. Nonostante le ripetute tragedie, anche nell’ultimo decennio sono state edificate nuove strutture in zone esposte a pericolo di frane e alluvioni (in 186 comuni fra quelli intervistati). Nel contempo, soltanto 55 amministrazioni hanno intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e in appena 27 comuni si è provveduto a delocalizzare insediamenti industriali. Ancora in ritardo anche le attività finalizzate all’informazione dei cittadini (dichiarano di farle in 472 comuni), essenziali per preparare la popolazione ad affrontare situazioni di emergenza”.
E’ questa – sintetizzata sempre in un articolo dell’Associazione datato febbraio 2014 – la situazione che viene a galla dal dossier Ecosistema Rischio 2013, redatto da Legambiente e dal Dipartimento della Protezione Civile che, ogni anno, effettuano un controllo continuo sulle attività per la mitigazione del rischio idrogeologico di oltre 1.500 amministrazioni comunali italiane tra quelle in cui sono presenti zone esposte a maggiore pericolo. Purtroppo questo non è un quadro positivo. Le tragedie continuano ad avvenire e si continuano a tamponare contesti urbani e territoriali che a priori non si sarebbero dovuti creare. L’edificazione selvaggia avvenuta dagli anni 60 in poi ha generato degli agglomerati urbani o fatto espandere le periferie delle città su un suolo, come per esempio quello in prossimità di fiumi o torrenti, per niente sicuro e in molti casi si è andato ad occupare o coprire i corsi d’acqua che sembravano asciutti, a volte addirittura anche a cambiarne il corso. Questo in regioni come la Calabria o la Liguria – che sono caratterizzate da corsi d’acqua molto simili (fiumare e torrenti) e soggetti fortemente alle acque meteoriche ed ai materiali alluvionali che sono causa di piene improvvise con una forte azione erosiva – ha fatto si che le improvvise e violente precipitazioni, le cosiddette “bombe d’acqua”, originassero delle devastazioni. Ed ogni anno il prezzo che l’Italia paga è elevatissimo, sia in danni economici che in perdite di vite umane.