Nelle scorribande in lungo ed in largo, per raccogliere i materiali infiammabili, che avrebbero alimentato la “bamparizza” (fuoco) di San Giovanni, si incontravano certamente tanti pericoli. A parte i siti nei quali erano stati individuati dei fantasmi, che evitavamo accuratamente, almeno i più piccoli, il pericolo maggiore era rappresentato dal greto della fiumara del Calopinace. L’acqua ormai non scorreva più da un mesetto, lasciando il posto a qualche pozzanghera, nella quale si agitavano milioni di girini, mentre a sera gracidavano le rane in amore, pasteggiate nelle ore calde dalle bisce affamate. Il pericolo purtroppo era li che si annidava. In primo luogo le briglie, appena costruite, che spesso costituivano pericolosissimi salti anche di quattro metri. In secondo luogo le vipere che si annidavano sotto le pietre della fiumara o tra i cespugli della stessa. Già le vipere. Erano il nostro terrore. Ntoni che era di qualche anno più grandicello, ma che si trovava bene con il nostro branco, piuttosto che con quelli della sua età, era forte, esperto e coraggioso. Precedeva sempre il gruppo con in mano un bastone. Picchiava sempre il bastone contro il terreno e le pietre circostanti. Ci aveva spiegato che, il produrre rumore e vibrazioni, avrebbe allarmato e fatto allontanare le vipere, che attaccano solo se costrette, perché troppo vicine o colte di sorpresa. Le spiegazioni di Ntoni e la sicurezza con la quale incideva ci tranquillizzava alquanto. Ma anche la sua esperienza ed il vedere come in effetti ogni tanto si vedeva strisciare, via fulmineo, il pericolosissimo serpente, confermava la stima che nutrivamo nei suoi confronti. Stima che io avrei conservato per tutta la vita, dopo l’episodio nel quale oltre alla esperienza dimostrò anche tanto coraggio, oltre al rispetto del principio “tutti per uno, uno per tutti”. Eravamo alla “forbice” tra l’Asparella ed il Calopinace, sul sentiero lastricato, accanto al muro di contenimento della grande fiumara, quando a circa un metro alla mia sinistra, sul muro ad altezza della mia spalla, una vipera mi guardava con la bocca spalancata. Lanciai un urlo. Ntoni, veloce come la luce, mi spostò a destra facendomi cadere, mentre assestava un colpo secco, ma preciso, sulla testa della povera bestia. Pericolo scampato, ma la paura prese il sopravvento. Fu così che a Ntoni toccò portarmi in spalla per trecento metri fino alla strada provinciale. Decidemmo di non raccontarlo ai grandi, per evitare interdizioni. Quella sera a cena pensai che Ntoni era esperto, forte, coraggioso ed anche un grande amico, per tutti noi.
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