Partecipare ad un evento come quello del Festival del giornalismo ti lascia dentro molto, soprattutto nei giorni a seguire: il ricordo dei singoli speakers, l’emozione provata quando hai visto il tuo “preferito” che aspettavi da tanto, un generale arricchimento portato dai numerosi incontri a cui si è assistito. Arricchimento: credo sia questa la parola giusta per descrivere un’esperienza del genere. Un concentrato di cultura per 5 lunghi giorni, che contribuisce in maniera notevole ad aprirti la mente, con quella sensazione che si prova nella sorpresa del “ah, non lo sapevo!” che fa sempre bene, specie nell’Italia di oggi che così poco si preoccupa nel guardare agli orizzonti del mondo esterno. Un altro aspetto stupisce in positivo: osservare le lunghe code che si formano davanti agli eventi più richiesti. Vedere tantissimi adolescenti in fila davanti al Teatro Morlacchi aspettando Travaglio, o le persone in piedi che per un’ora e mezza ascoltano la Rassegna stampa, o ancora la “coda d’attesa” davanti all’evento con Vauro, sono tutti segnali di una partecipazione popolare senz’altro di buon auspicio, una partecipazione fatta di persone desiderose di approfondire, capire e confrontarsi sulle tendenze attuali della società, sul “dove stiamo andando”; persone che cercano risposte da più parti dinanzi a quest’ultima domanda. Il Festival è stato, come nelle precedenti edizioni, ricco di ospiti e di temi affrontati: uno sguardo a 360° sul mondo del giornalismo e più in generale sulla attualità circostante e, cosa di fondamentale importanza, con un dibattito che va aldilà delle opinioni politiche, grazie alla presenza di esponenti tanto di destra quanto di sinistra, dai redattori de Il Giornale a Nichi Vendola. Un Festival che unisce chi ha sete di notizie e di pareri nella totale par-condicio, ma che ahimè ci mostra quanto il nostro Paese abbia bisogno (ed il numero di persone presenti alle conferenze lo dimostra) di momenti simili.
Elisa Gerardis