Campagna d’odio o campagna elettorale: il furore delle offese insensate

Distante da me l’idea di agitare spiriti, non sono quel prototipo. Ma avverto la necessità di ammetterlo: la piega che sta pigliando questa campagna elettorale per le Europee o per le amministrazioni comunali mi sgomenta. I toni sono oltre quelli della pur aspra e pungente contrapposizione politica. Qui siamo al combattersi all’ultimo sangue. Non più contendenti che si comparano su temi e prospettive, concetti pur diversi ma con finalità simili, cioè il futuro della nostra Italia.

Qui siamo all’ingiuria, all’avversione più facinorosa e recitata, la storia e i suoi interpreti, viene tirata fuori dai libri e scagliata in faccia: ricompaiono Robespierre, Stalin, Hitler, i campi di sterminio, la Shoah. In un crescendo che non lascia spiragli alla buona educazione.

Gli avversari, i nemici sono “polvere” devono “dissolversi”, chi vince non farà prigionieri, chi perde dovrà quindi dissolversi nel nulla: il tutto urlato, senza un filo di satira. In sostanza, in un Paese stanco, con queste cifre sulla disoccupazione totale e su quella giovanile, dalle prospettive incerte con una grande quantità d’imprese che chiudono ogni dì senza alcuna prospettiva di ricominciare, ci si è infilati in una campagna elettorale dove l’odio primeggia su tutto il resto. No, non va bene.

Negli studi televisivi, sui media cartacei si sentono e si leggono asserzioni che non hanno quasi più niente di pensato: al netto delle citazioni di circostanza, le affermazioni di alcuni leader s’inoltrano nel pericolosissimo terreno dell’insulto personale, si nutrono di battutacce da avanspettacolo, si abbeverano al repertorio più bieco delle ingiurie sull’aspetto fisico, si coniano definizioni con la speranza che divengano slogan rilanciati dal web, in un’eco infinito e denso di rischi.

Non più tardi nella conferenza stampa della Commissione parlamentare antimafia di ieri, il presidente Rosy Bindi e il vice presidente Claudio Fava, esponenti di PD e Sel, hanno dato l’impressione di fare una passerella propagandistica ed elettorale piuttosto che un incontro istituzionale. La Bindi e Fava hanno dimostrato di appartenere più che altro al loro partito, e molto meno allo Stato e al Paese che rappresentano con un ruolo super-partes che evidentemente non meritano.

O quando la presidente Rosy Bindi, commentando le dimissioni del presidente della Regione Calabria e alle domande dei giornalisti sul perché non avesse ascoltato il presidente Scopelliti nella precedente visita a Reggio Calabria della Commissione antimafia, ha risposto che “abbiamo deciso di non sentire Scopelliti perché quando è arrivato il suo…. turno c’era già stata la sentenza, e dopo una sentenza di condanna non abbiamo ritenuto opportuno ascoltarlo“.

Sarcasticamente  terminando: “se vuole può essere ascoltato oggi come cultore della materia“. Reggini, adesso ci dicono che il commissariamento non è servito a nulla: oltre al danno anche la beffa, almeno abbiano la dignità di chiedere scusa alla città. Che tutto quest’andazzo faccia bene alla politica che di bene avrebbe tanto bisogno lo escludo: ascoltando Grillo o la Bindi di ieri mi domando attonito: “Ma stanno scherzando o fanno sul serio?” Sì perché l’uso di un certo linguaggio tanto acrimonioso e aggressivo fa a pugni con gli insegnamenti che a casa e a scuola (si spera) i ragazzi, i propri figli ricevono anche sul lessico da usare. E su questo punto rintraccio un’emergenza che va oltre la campagna elettorale: esso riguarda il nostro comune sentire, la maniera di rapportarci, di colloquiare, di avvalerci di quel linguaggio franco ma mai offensivo, mai carico di rancore, mai denso di collera e odio rabbioso ed incontenibile.

Non so se qualcuno o qualcosa sarà capace di interrompere tale deriva. Ascoltare certe frasi all’indirizzo di una qualunque personalità istituzionale fa raccapricciare perché le frasi adoperate abbattono ogni steccato, ogni comune ponderatezza, ogni impronta di tranquillità. Grillo va all’attacco del capo dello Stato come un orso infuriato, Berlusconi cita incessantemente accuse alla magistratura (non a tutta) per le sue numerose vicende giudiziarie. Una persecuzione, ma che cosi coinvolge l’intero corpo inquirente e giudicante di un Paese dove le garanzie sono tutelate, dove sono in vigore tre (dico tre) gradi di giudizio e dove, tra i tanti e gravi mali della giustizia (compreso quello di eccessi corporativi) non si può dire che non ci sia spazio per le azioni della difesa.

A questa drammatica rappresentazione dell’atmosfera che tira in campagna elettorale si deve aggiungere il dibattito parlamentare: le aule dei due rami del Parlamento vivono la fase più impetuosa di contrapposizione frontale la peggiore degli ultimi decenni, pur essi alquanto tormentati. Cartelloni, urli, espulsioni, zuffe, una raffigurazione della dialettica politica che ricorda in serie la corrida, il combattimento tra galli, gli “ola…” violenti degli ultras,ecc. Mi piacerebbe trovare qualche politico che mi tranquillizzasse.

Mi piacerebbe davvero che qualcuno mi dicesse di non prenderla così male perché poi è tutto un teatrino anche se di pessimo livello.  Intanto, ciascuno di noi potrebbe inventarsi un piccolo contributo alla causa della distensione, contro il più esacerbato dei campanilismi politici: imporsi di non rilanciare, anche solo per vedere l’effetto che fa, gli insulti di questi politici che di politica mostrano di capirne pochissimo. Promesso: da domani comincio io…e voi?

Pep Gian

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