Epidemia da ebola, perché questa volta fa paura

di Katia Germanò – Il primo ceppo di questo virus mortale è stato scoperto nel 1976 in Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) all’interno della valle dell’Ebola (da cui il nome), dove si è sviluppata la prima epidemia. Da allora e fino ad ora, sono stati isolati quattro ceppi di questo virus, di cui tre sono responsabili di un’alta percentuale di letalità per l’uomo. Il più pericoloso tra tutti è il ceppo Zaire che dal 1976 ai giorni nostri ha causato 1.315 morti su 1823 contagi accertati. Secondo gli esperti, il virus si trasmette all’uomo tramite contagio animale e, molto probabilmente, l’origine è da ricercarsi in un particolare tipo di pipistrello che sembra rappresenti il serbatoio naturale dell’infezione. I sintomi, che appaiono all’improvviso, sono febbre alta (fino a 39°), mal di testa, dolori muscolari, grave debolezza, stanchezza, nausea ed imponenti emorragie interne ed esterne. Per il momento non ci sono nè vaccini, nè trattamenti di supporto efficaci. Fino ad oggi, nonostante l’alto tasso di letalità (in alcuni casi vicino al 90%), la rapidità con la quale sopraggiungono i decessi, la localizzazione geografica delle infezioni (frequentemente in regioni isolate e presso villaggi rurali) ed il potenziale epidemiologico, il virus è stato ovviamente considerato degno di massima considerazione, ma con scarsa possibilità di contaminazione dei grandi centri urbani.

Ma questa volta è diverso.

Il 22 marzo di quest’anno viene confermata la notizia della ventiquattresima epidemia da virus ebola, originatasi nei focolai rurali della Guinea (197 casi con 122 decessi), in Africa occidentale. In brevissimo tempo, dai villaggi nei quali sembrava confinata, ha raggiunto la capitale Conakry (quasi due milioni di abitanti e sede di un importante aeroporto internazionale).

Per la prima volta l’epidemia si è, quindi, urbanizzata.

ebola_virus_epidemia_2014L’estensione e la pericolosità del contagio ha indotto prima l’Europa e poi gli Stati Uniti ad intervenire prontamente per scongiurare la minima possibilità di un contagio su base planetaria. Ad aggravare il quadro generale è stata l’analisi genetica del virus che ha rivelato come il ceppo responsabile dei casi sia il più pericoloso (Zaire). L’epidemia si è estesa anche alla Liberia (27 casi con 13 decessi), mentre risultano casi sospetti in Mali e Sierra Leone. Tale scenario ha costretto, per la prima volta, l’Organizzazione mondiale della Sanità a definire l’epidemia del 2014 come “evento raro, insolito o inaspettato, a serio impatto sulla sanità pubblica e, per il momento, a basso rischio di diffusione internazionale”. Anche in Italia è scattata l’allerta per questo virus “letale”. Con una circolare del 4 aprile, il Ministero della Sanità ha comunicato l’attivazione di misure di vigilanza e sorveglianza ritenute necessarie per il controllo dei punti di ingresso internazionali nel nostro paese. Sono previsti controlli sugli ingressi ed uno stretto monitoraggio degli italiani attualmente presenti nei paesi colpiti dall’epidemia (Guinea e Liberia in primis). L’intero asset delle capacità diagnostiche del Paese è stato affidato all’Istituto Spallanzani di Roma in quanto in grado di disporre dell’unico laboratorio italiano a massimo livello di biocontenimento. Il dato che preoccupa maggiormente gli scienziati è il tempo di incubazione del virus che varia dai 2 a i 21 giorni per la trasmissione attraverso il contatto con sangue e secrezioni fino ad arrivare a 50 giorni per il contagio derivante dalle secrezioni spermatiche. Nel documento redatto si fa – altresì – cenno alla necessità di controllare gli arrivi “diretti e indiretti” con un chiaro riferimento all’onda di migranti che proprio in queste ore sta facendo rotta su Lampedusa. Proprio sull’isola, cerniera mediterranea della gran parte dei fenomeni migratori, l’Italia rischia di trovarsi impreparata a fronteggiare quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la più grave epidemia degli ultimi anni. Infatti, con il centro chiuso per lavori di ristrutturazione, i migranti intercettati in questi giorni dalla pattuglie navali di “Mare Nostrum” – il programma della marina Militare per contrastare gli sbarchi – vengono trasferiti sulla terraferma oppure rimangono, addirittura, in attesa sulla banchina del porto di Lampedusa. La maggior di essi proviene, per fortuna, principalmente dalla Libia ed altre regioni magrebine, zone non interessate dall’epidemia virale; tuttavia, l’allerta è massima in quanto non è in questo momento possibile procedere all’identificazione di tutti i migranti che arrivano sulle nostre coste.

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