Due concezioni diverse di stato
di Leo Iiriti – I recenti episodi di cronaca pongono la nostra attenzione in maniera sempre più crescente nei confronti di una parola che circonda la sfera sociale nella quale viviamo. Questa parola è crisi!! Una crisi comparsa dal nulla, che fece la sua apparizione a seguito dei mutui subprime americani nel 2008 attraverso annunci televisivi, e poi abbattutasi sul nostro sistema economico reale. Ma si tratta davvero di crisi? Oppure come sostengono tanti illustri economisti e sociologi si tratta di una trasformazione della concezione dello Stato così come noi lo conosciamo attraverso la nostra Costituzione? E soprattutto riflettiamo su un aspetto, a chi giova lo sviluppo di questi scenari sociali, politici e economici?
Noi oggi assistiamo ad una trasformazione delle regole fondamentali e fondanti della società nella quale siamo vissuti. Con sempre maggiore veemenza si sta protraendo lo scontro tra due concetti fondamentali di Stato: lo Stato neoliberista e lo Stato socialdemocratico. Sotto il profilo economico, invece, si assiste ad uno scontro tra economia reale e virtuale (sistemi economici finanziari, fattori produttivi legati all’automazione e alla digitalizzazione). Ed infine l’assurdo fondamentale che ci porta ad avere una moneta senza uno stato. Ovviamente delineeremo questi macro concetti in diversi articoli, per esigenze redazionali non potremmo approfondire concetti ampi e complessi in uno solo.
Attraverso una lettura della nostra Costituzione ben si comprende il rapporto tra l’uomo e la società nella quale esso vive, ed il perno fondamentale del lavoro quale elemento di ricchezza ed equilibrio sociale: l’articolo 3 della nostra Costituzione nel suo significato fondamentale pone la centralità dell’individuo nella società e il compito che ha lo Stato nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale; l’articolo 4 che dichiara il superamento della società basata sul censo a favore di quella basata sul lavoro, quest’ultimo ritenuto valore supremo di una società libera, plurale ed eguale; ed infine l’articolo 41 dove si delinea la struttura economica del nostro Stato, garantendo la assoluta libertà di impresa privata e proponendo inoltre un bilanciamento tra l’impresa pubblica e quella privata.
Quali risultati volevano determinarsi con l’art 41? Gli obiettivi erano quelli di creare un sistema economico sociale il più possibile garantito da una forma di equilibro di mercato, attraverso la nascita dell’ impresa pubblica e di quella privata (sistema a economia misto), con il finale obiettivo di raggiungere il principio di piena occupazione, attraverso il quale raggiungere un sistema di crescita e armonia sociale.
Tali erano gli obiettivi dell’ IRI quando venne creata nel’ 33 per poi essere dismessa, tra il 1993 e il 2002, attraverso quella privatizzazione-farsa attuata per ridurre l’esponenziale crescita del nostro debito.
Lo Stato quindi era il motore e il garante della crescita della nostra società, attraverso un fattore estremamente significativo, che garantisce libertà e indipendenza, cioè il potere di battere moneta. Lo Stato che batte moneta determina le strategie e le esigenze da affrontare su base prioritaria, tutelando e promuovendo il sistema economico sociale di uno stato. Oggi con l’euro si verifica un caso eccezionale, che non esiste in nessun altro Stato, ossia una moneta senza uno Stato. Senza l’architettura di governo non si può stabilire una politica monetaria adeguata che possa supportare un’azione incisiva nel sistema dell’economia reale. In opposizione a tutto questo si pone lo stato neoliberista i cui valori fondamentali – meno stato più mercato – il mercato si equilibra da solo senza alcun intervento dello stato, non esistono vincoli territoriali ma libera distribuzione delle merci, il ruolo della politica deve solo essere quello di stabilire delle regole che garantiscano libertà di azione.
Fautori principali del pensiero neoliberista furono negli anni ’70 Milton Friedman e la scuola di Chicago, capitanati dalle importanti Holding finanziarie di Wall Street, trovando come alleati due personaggi politici molto influenti la Tatcher e Reagan, che proposero una forte ristrutturazione dello stato sociale fino a quel periodo conosciuto. Ecco quindi, a mio parere, la vera identità di questa crisi. Una crisi che possa diffondere processi di trasformazione radicali, a partire dal cambiamento della logica dello stato, e degli equilibri politico-sociali che fino ad aggi hanno delineato la società nella quale viviamo. Vi sono chiaramente in atto trasformazioni sul piano ideologico, politico ed economico tendenti ad annullare il principio di nazione per avviare un processo di nascita di entità sovranazionale, con lo scopo di sovvertire l’ordine sociale fino ad oggi vigente.
Lo Stato si trova quindi in una condizione di netta subalternità rispetto a logiche di potere condotte dai sistemi finanziari, con margini di manovra ridotti (enti locali in primis), e con una politica delegittimata, colpevole in alcuni casi sì, ma non di tutto, le responsabilità sono molto più ampie e complesse, e dovrebbero essere paritariamente distribuite. I vincoli posti dal patto di stabilità, che tendono a limitare l’azione dello Stato nell’economia sono assolutamente degenerativi, pertanto l’Italia deve assolutamente rinegoziare i vincoli stabiliti con il trattato di Maastricht. Il nostro stato non può categoricamente rispettare tali limitazioni, e deve rilanciare l’idea paese nel breve periodo.
Per uscire da questa situazione bisogna rilanciare i valori e le emozioni di una forte identità nazionale, il popolo deve ritornare ad essere sovrano e scegliersi i propri amministratori, senza scelte illegittime da parte dei poteri forti dell’Unione Europea, e soprattutto serve uno scatto d’orgoglio della politica che si assuma la responsabilità del proprio ruolo, e riesca a recuperare il proprio rapporto con il cittadino, riformulando il ruolo dei grandi gruppi finanziari, a meno che non voglia essere il solo capro espiatorio di un sistema che sta implodendo.