G7 rubrica terzo settore. Bangladesh, quanta Italia nello sviluppo

(DIRE) Roma, 7 Ago. – A Dhaka, capitale del Bangladesh, migliaia di bambini e adolescenti lavorano nelle fabbriche tessili che producono abbigliamento e accessori a basso costo, che i grandi marchi internazionali rivendono poi sui mercati globali. A denunciare questa nuova di schiavitù contemporanea sono tante realtà del terzo settore, tra cui ActionAid, organizzazione non governativa presente nel paese dell’Asia centrale dal 1982, attiva con 36 progetti di cui 18 finanziati da ActionAid Italia. Lo scorso 3 giugno, in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, la sezione italiana dell’ong ha lanciato la campagna sui diritti dell’infanzia ideata con Giuseppe Bertuccio D’Angelo e l’associazione da lui fondata: Progetto Happiness. Si tratta di un’iniziativa basata sul reportage che D’Angelo ha realizzato nella capitale bengalese dopo aver visitato “fabbriche dove bambini di appena otto anni lavorano incessantemente, chinati sulle macchine da cucire, per produrre i vestiti che indossiamo ogni giorno”, come ha raccontato lui stesso.

Il Bangladesh, paese che conta 170 milioni di abitanti, è infatti afflitto da grave povertà, disoccupazione e disuguaglianze che colpiscono in particolare i giovani. È proprio dalla loro richiesta di futuro, diritti e opportunità che sono scaturite quelle proteste che, da giugno, hanno portato a manifestare milioni di persone, e lunedì scorso hanno infine spinto la prima ministra Sheikh Hasina a dimettersi, lasciando spazio a un governo di transizione. In contesti di instabilità e mancanza di giustizia sociale, emerge allora con evidenza il ruolo degli organismi del terzo settore, che si fanno ponte tra i Paesi e strumento di cambiamento: “Sono oltre 120mila i donatori che hanno scelto ActionAid per sostenere a distanza un bambino per migliorare la sua vita e le condizioni della sua comunità” ricorda l’ong, in riferimento non solo ai paesi che sostiene in Asia, ma anche quelli in Africa e America Latina. Tra quelle decine di migliaia di donatori, ci sono “famiglie, privati cittadini e aziende”.

“L’80% della donazione- continua l’organizzazione- viene destinato alla comunità dove vive il bambino con la sua famiglia per avviare o portare avanti programmi di sviluppo e progetti nei settori di competenza (istruzione, acqua, cibo, diritti dei bambini, delle donne, ecc.), mentre il restante 20% è utilizzato per le campagne di sensibilizzazione e per sostenere i costi, sia operativi sia di gestione, dell’organizzazione”. Così, nel mondo, sono oltre “5 milioni” le persone sostenute. Tornando al Bangladesh, l’azione di ActionAid non si ferma qui: “Nell’ultimo anno, abbiamo realizzato diverse iniziative per reclamare il riconoscimento del lavoro di cura non retribuito, per chiedere spazi pubblici più sicuri per le donne, un centro di cura per i figli delle donne imprenditrici agricole, un piano urbano indirizzato alle donne ed un sistema di trasporti che garantisca loro la piena sicurezza”, a cui si aggiungono “iniziative di advocacy per chiedere l’entrata in vigore di una legge contro la violenza e le molestie sessuali”, in un paese dove, secondo stime dell’Unicef, il 51% delle donne e delle ragazze si sposa prima dei 18 anni, aumentando il rischio di molestie e di gravidanze precoci.

Il terzo settore si fa, appunto, ponte tra i Paesi, e allora come non citare il supporto ai residenti di origine bengalese in Italia – paese all’ottavo posto al mondo e primo nell’Unione europea per presenze: secondo dati del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, a gennaio 2022 ammontano a 150.692 i cittadini regolarmente registrati, ma il numero potrebbe essere più alto, per via dei migranti entrati attraverso canali irregolari. È anche a loro che è rivolto il lavoro di ambulatori mobili e fissi di Emergency sparsi per l’Italia. L’ong fa sapere che nel 2023, per ovviare a quegli “ostacoli burocratici e difficoltà amministrative nell’ottenimento dei requisiti nell’accesso alle cure”, ha erogato 42.500 prestazioni socio-sanitarie gratuite agli stranieri, di cui quasi il 7% a persone bengalesi, nazionalità che si piazza al quarto posto nel progetto dell’organizzazione fondata da Gino Strada. Il Bangladesh è stato anche il “paese focus” dell’edizione 2024 di ‘Corsa contro la Fame’, il progetto didattico, sportivo e solidale promosso da Azione contro la fame (Acf) col patrocinio del Coni, e giunto in Italia alla decima edizione.

A maggio, ben 220mila “studenti podisti” di 1.600 scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado appartenenti a 700 comuni hanno partecipato a una grande corsa solidale. In classe invece, hanno potuto ricevere formazione sul tema della crisi alimentare, che vede tra le sue cause principali “guerre, povertà ed effetti dei cambiamenti climatici”. Il Bangladesh è stato scelto per la pervasività del problema: secondo il Global Hunger Index, il Bangladesh si piazza all’81esimo posto su 125 per popolazione che sperimenta la fame, mentre Unicef avverte che “milioni di bambini, adolescenti e madri sono malnutriti”. Qualche dato sul fenomeno: il 31% dei bambini al di sotto dei cinque anni è denutrito, il 28% dei bambini sotto i 5 anni soffre di rachitismo e il 10% è affetto da di deperimento, mentre il 24% delle donne tra i 15 e i 49 anni è sottopeso. Per questo, nel paese asiatico Acf attua una pluralità di interventi, che vanno dalla formazione di organizzazioni della società civile e imprenditori locali “per garantire un facile accesso a prodotti nutrizionali e di igiene a prezzi accessibili, soprattutto in caso di disastri naturali”, e di progetti per “favorire una produzione agricola adattabile e resiliente al clima nelle aree soggette a cicloni”. (Alf/Dire) 10:00 07-08-24

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