G7 rubrica Piano Mattei. Mariam Yassin: che occasione per la mia Somalia

(DIRE) Roma, 8 Lug. – Il Piano Mattei come occasione da cogliere. In una prospettiva di sviluppo ma anche come antidoto e supporto anti-crisi. Tenendo conto dei contesti locali, ovviamente, ma proponendo, valutando e senza tirarsi indietro. E’ la prospettiva di Mariam Yassin Hagi Yussuf, inviata speciale del presidenza della Somalia per le migrazioni, i rimpatri e i diritti dei bambini.Al telefono risponde da Mogadiscio. “Il Piano Mattei potrebbe aiutare tanto” premette. “Dobbiamo studiarlo a fondo, anche in Somalia, e definire una nostra strategia”.

Yassin ha una storia personale dolorosa e straordinaria, della quale l’Italia è parte. Nel 1991, allo scoppio della guerra civile in Somalia, dopo l’uccisione del padre, partì per l’Europa. Studiò a Torino, divenendo cittadina italiana e specializzandosi sui temi delle migrazioni. A Mogadiscio, dove vive e dove risponde al telefono, è rientrata nel 2009. Decisa a occuparsi di diritti delle donne, con un’organizzazione della società civile, e poi delle persone migranti e dei bambini: fino all’incarico che le affidato Hassan Sheikh Mohamud, capo dello Stato dal 2022.Parliamo del Piano Mattei, l’iniziativa del governo di Giorgia Meloni che promette di rafforzare una cooperazione “da pari a pari” e “non predatoria” con i Paesi dell’Africa.

“Dobbiamo fare in modo che l’Italia presti un’attenzione particolare alla Somalia, anche per i legami storici che ha con il Paese” il monito e allo stesso tempo l’auspicio di Yassin.”Guardando al mio campo specifico delle migrazioni, in particolare rispetto alla questione cruciale dei ritorni dall’Europa, sarebbe utile che il Piano promuovesse percorsi di formazione e inserimento sociale”. Le possibilità di cooperazione con la Somalia sono tante, anche a partire dalla storia e dalle esperienze comuni, dall’inizio dell’avventura coloniale italiana nel 1889 fino all’epoca fascista, conclusa con la Seconda guerra mondiale e il collasso dell’impero mussoliniano.

“Il Paese oggi ha tanti bisogni” sottolinea l’ambasciatrice. “Da somala e allo stesso tempo da italiana, vorrei poter immaginare spunti e proposte concrete da realizzare”. Il contesto, anche a livello regionale, guardando al Corno d’Africa, è segnato dalle incognite. “È una fase difficile sia nel suo insieme che per i singoli Paesi della regione” sottolinea Yassin. “C’è il Sudan, che preoccupa non solo per le sofferenze umane, con un conflitto civile che in poco più di un anno ha costretto oltre otto milioni di persone a lasciare le proprie case, ma anche per l’assenza di una prospettiva di pace; e ad allarmare è l’Etiopia, il Paese più popoloso dell’area, dove rischiano di moltiplicarsi i conflitti interni e dove una pur legittima richiesta di accesso al mare, penso alla questione Somaliland, deve tener conto del principio dell’integrità territoriale della Somalia e del rispetto del diritto internazionale”.

Seguiamo la carta geografica. Ad Addis Abeba, capitale d’Etiopia, ha aperto di recente il Museo di Adua: con anfiteatro, biblioteca e sale multimediali, celebra non tanto la sconfitta degli italiani del 1896 quanto il trionfo dell’Africa unita contro ogni colonialismo.L’inaugurazione ha coinciso con un altro momento cruciale per il Paese, come ha sottolineato Abiy Ahmed, primo capo del governo con origini della comunità oromo, Nobel per la pace 2019 per aver voluto un accordo con la vicina Eritrea dopo decenni di guerra e tensioni. Un nuovo conflitto, combattuto tra il 2020 e il 2022, con epicentro proprio nel Tigray, la regione dove si trova Adua, ha lasciato infatti in Etiopia uno strascico di rivendicazioni e violenze.

Solo nell’aprile scorso 50mila persone hanno dovuto fuggire da una zona al confine tra il Tigray e l’Amhara, un’altra area segnata dall’instabilità.C’è poi la questione dell’accesso al mare, centrale da quando Addis Abeba ha perso il controllo dei porti sul Mar Rosso dell’Eritrea, divenuta indipendente dal 1993. Secondo Yassin, “il memorandum d’intesa sottoscritto nel gennaio scorso tra il governo etiope e quello del Somaliland, una regione di fatto autonoma ma mai riconosciuta a livello internazionale e considerata dalla Somalia parte integrante del proprio territorio, alimenta timori di un nuovo conflitto”.

E attenzione: il Corno d’Africa è crocevia del mondo. Si può allargare lo sguardo fino a Kazan, in Russia, sulla via degli Urali. In questa città a giugno si sono tenuti i giochi sportivi dell’alleanza dei Brics. A partecipare sono stati anche atleti giunti da Addis Abeba: l’Etiopia è infatti uno dei nuovi membri dell’alleanza, nata dalle convergenze di interessi tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. In un mondo sempre più multipolare, attraversato però dai rischi di quella “guerra mondiale a pezzi” che Papa Francesco ha tante volte denunciato, bisogna evitare che si aprano nuovi fronti. Con l’Etiopia magari contrapposta alla Somalia, ancora alle prese con le ripercussioni del conflitto civile deflagrato nel 1991, l’anno della caduta del presidente Siad Barre e dell’indipendenza di fatto del Somaliland.

Di quelle vicende Yassin è stata testimone. Suo padre fu ucciso allora. Poi ci furono l’Italia, gli studi universitari e le ricerche sulle migrazioni. Il rientro in Somalia è stato segnato dall’impegno nel sociale, con una cesura nel mezzo: il 21 settembre 2013. Quel giorno Yassin fu ostaggio in un centro commerciale della capitale keniana Nairobi, incinta accanto al marito colpito a morte, uno dei 62 civili assassinati dai membri di un commando jihadista di Al Shabaab. Da allora, l’organizzazione somala in lotta con il governo di Mogadiscio non ha mai deposto le armi. “Al Shabaab occupa ancora alcuni territori, nonostante l’esercito abbia liberato più zone” sottolinea Yassin.

“Qui si discute del ritiro dei peacekeeper dell’Unione Africana, fissato al prossimo 31 dicembre: il loro supporto è stato importante per la Somalia, ma in prospettiva si dovrà arrivare al punto in cui il Paese sia in grado di difendersi da solo”. Sullo sfondo ci sono altre incognite. Come la revoca da parte delle Nazioni Unite di un embargo sulla consegna di armi a Mogadiscio, entrato in vigore nel 1991, quando l’aviazione di Barre bombardava il Somaliland. Il presidente Mohamud celebra la decisione come una vittoria. Per i critici, aspettando il Piano Mattei, è la conferma dei rischi che attraversano il Corno d’Africa.
(Vig/Dire) 11:23 08-07-24

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