(DIRE) Roma, 10 apr. – “Può sembrare un report come altri ma non è così: si concentra sui lavoratori dell’agroalimentare – che rappresentano un terzo del totale delle giornate lavorate ma penso siano in realtà molto di più – ma tratta soprattutto un fenomeno: la cattiva coscienza. Di fronte a un settore di cui andiamo tanto fieri, parlando del mede in italy, del cibo d’eccellenza e dei prodotti agroalimentari nel mondo, non abbiamo mai avuto il coraggio di dire che metà dell’input di lavoro di questo settore viene dal mondo degli immigrati.
Un capitale umano che conosciamo troppo poco e a cui non attribuiamo ruolo né meriti”. Lo dichiara Renato Brunetta, presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), aprendo la conferenza a Roma di presentazione di Made in Immigritaly. Terre, colture, culture’, primo rapporto sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare. Commissionata dalla Fai-Cisl, la ricerca è stata realizzata dal Centro Studi Confronti e curata da Maurizio Ambrosini, Random Devole, Paolo Naso e Claudio Paravati. Secondo Brunetta questo approccio è “grave” soprattutto “in economia” e sanziona fenomeni criminosi come “sfruttamento e caporalato”, e si chiede: “cosa sarebbe successo se questa immigrazione fosse stata regolamentata, strutturata e inserita in percorsi di qualità? E se i prossimi flussi fossero reclutati dai paesi di origine?
Questo – avverte – riguarda imprese e formazione continua ma richiama anche il ruolo del sindacato per quanto riguarda i contratti”, perché i sindacati “fanno gli interessi non solo dei lavoratori ma di tutta una comunità e di un settore”. Questo lavoro sull’agroalimentare, il suggerimento di Brunetta, “va esteso a tutti i settori perché gli invisibili sono ovunque e questo non è un fattore di crescita né civile né economico, né per l’Italia né per i paesi di origine, ma solo per chi fa profitti attraverso queste dinamiche. Inutile rappresentare solo i piu forti”, conclude. (Alf/ Dire) 11:17 10-04-24
