Dopo gli scontri e le violenze dei giorni scorsi, il presidente della Tunisia Zine al-Abidine Ben Ali ha annunciato che tutte le scuole e le università dell’intero Paese rimarranno chiuse fino a nuovo ordine. Nella sua comparsata televisiva ha anche accusato i manifestanti di terrorismo e di atti ingiustificati, denunciando la presenza di “ingerenze estere” che, a suo parere, sarebbero responsabili delle ribellioni e che starebbero cavalcando l’effetto psicologico della fortissima disoccupazione (circa il 25%). Le fonti presidenziali parlano di circa 14 morti durante gli scontri, ma i manifestanti ne denunciano circa una cinquantina. Ed è scontro dunque sulle cifre diffuse e sull’ordine di sparare sui manifestanti, che a detta delle opposizioni avrebbe già provocato una ventina di morti. L’opposizione inoltre invita il presidente a revocare l’ordine di sparare sulla folla, una decisione ancora più tragica, rispetto ai disordini veri e propri. Come detto però, il bilancio ufficioso è ancora più pesante e il sito internet dell’emittente radiofonica Kalima fa sapere che il numero totale delle vittime è 50, con un preciso riferimento numerico dei morti città per città: Thala (16), Kasserine (22), Meknassi (2), Feriana (1) e Reguab (8). Inoltre l’emittente radiofonica fa sapere che, nelle zone della rivolta, è in corso un vero e proprio “massacro di civili inermi”, riferendo che le forze dell’ordine hanno aperto il fuoco anche su un corteo funebre di un manifestante, costringendo i parenti ad abbandonare il feretro lungo la strada. La situazione sembra che sia sfuggita di mano e l’escalation di violenza sembra ormai non avere fine.
Il presidente tunisino, Zin el-Abidin Ben Ali, nel corso di un discorso trasmesso dalla tv di stato di Tunisi, ha affermato che: «Bande di persone a volto coperto e spinte dall’estero hanno attaccato la scorsa notte sedi istituzionali in diverse città del paese. Si tratta di bande pagate e comandate da entità straniere con l’obiettivo di colpire il paese. Esprimo le mie condoglianze a tutte le famiglie delle persone decedute ieri». Per quanto riguarda il problema della fortissima disoccupazione, il presidente ha voluto chiarire di: «aver fatto tutto il possibile per creare nuovi posti di lavoro e di voler continuare a portare avanti la politica nel settore dell’istruzione, nonostante il prezzo pagato in questi giorni dal paese e le difficoltà nel creare nuovi posti di lavoro. La disoccupazione non è un problema nuovo per la Tunisia e non colpisce solo noi. Abbiamo deciso di raddoppiare i nostri sforzi per dare maggiori opportunità di lavoro e ci impegniamo a trovare un posto di lavoro a coloro che hanno conseguito una laurea da almeno due anni». Il Premier tunisino ha poi voluto ringraziare il leader libico Gheddafi, per l’aiuto e l’appoggio concesso al suo governo.
Tutto ha avuto inizio lo scorso 18 Dicembre, quando nella città di Sidi Bouziz un ambulante si è dato fuoco per protesta, morendo dopo atroci sofferenze due settimane dopo. Da lì sono scoppiati numerosi focolai di protesta in tutto il Paese per il caro vita e per la mancanza ormai cronica di lavoro per tutti. L’apice della protesta è stato raggiunto quando sono stati dati alle fiamme diversi edifici pubblici e una banca, scatenando la reazione della Guardia Nazionale che ha aperto il fuoco contro la folla. Da qui in poi diversi gesti (suicidi, incarcerazioni, mutilazioni) che, in condizioni normali sarebbero rimasti dei gesti isolati, sono divenuti i propagatori della violenza in tutto il Paese, gettando benzina sul fuoco, su un clima già da tempo avvelenato. La cosa sorprendente è che, rispetto alle altre rivolte di popolo dei paesi magrebini, questa volta la religione islamica è rimasta fuori da tutto quanto, perché questa volta si protesta per avere un lavoro, un pezzo di pane: in parole povere un futuro e un presente migliore.
Salvatore Borruto