Per rimettere in moto l’Italia non serve il moralismo fiscale

Esce in libreria per Rubbettino “Rimettiamo in moto l’Italia” il nuovo libro di Davide Giacalone

rubet“Il moralismo fiscale è una dottrina satanica, capace solo di produrre povertà. La realtà è quella di una pressione troppo alta, che non scalfisce l’evasione e semmai crea quella per necessità. Tale pressione è la sorella gemella della cattiva spesa pubblica”. A sostenere la tesi è Davide Giacalone, brillante giornalista, opinionista di RTL 102.5 e blogger di Fattoreerre, il nuovo blog Rubbettino Editore. Giacalone conduce una critica serrata al nostro attuale sistema politico, fornendo al contempo alcuni suggerimenti e punti di vista non convenzionali, nel libro “Rimettiamo in moto l’Italia” edito da Rubbettino e che viene lanciato oggi in libreria. Rimettiamo in moto l’Italia è un libro che non tace certo i gravi problemi legati sia alla nostra economica che alla debolezza istituzionale da tempo manifestatasi, ma prova a mettere in luce i punti di forza dell’Italia, troppo spesso colpevolmente taciuti. Dai secondi si risale alle ricette per risolvere i primi. “È vero – continua Giacalone – abbiamo un debito pubblico troppo alto, ma il semplice parametro del rapporto fra il debito pubblico e il pil ci penalizza irragionevolmente. Usando il parametro del debito aggregato e del patrimonio, così come sono indirizzati a fare anche i nuovi conteggi dell’Ue, il nostro emerge come uno dei Paesi più solidi.
Negli anni della crisi dei debiti sovrani la nostra disciplina di bilancio è stata assai più rigorosa di quella dei tedeschi o dei francesi. Il modo in cui l’Ue ha scelto di affrontare la crisi ci ha gravemente penalizzato, svantaggiando le nostre imprese rispetto a quelle di altre aree europee. Eppure le nostre esportazioni verso area extra-Ue sono cresciute più di quelle tedesche.
La nostra spesa pubblica non è solo troppo alta, ma anche male impiegata. Con esempi concreti si dimostra che meno spesa può accompagnarsi a migliori servizi, mentre non è vera la suggestione per cui i tagli ala spesa portino necessariamente a servizi di peggiore qualità, quando non alla loro cancellazione. Ce la si prende con il “liberismo selvaggio”, come se noi lo avessimo vissuto. Il nostro è rimasto un mercato largamente statalizzato. Le politiche di competizione e dismissioni devono ancora essere adottate. Altro che riviste. Raffiguriamo noi stessi nel peggiore dei modi. Non c’è dubbio che la corruzione va combattuta, ma i dati che pubblichiamo e che ripetiamo come veri sono del tutto campati in aria.
La storia della crisi europea, dal 2010-2011, è una catena di errori, tutti provocati dalla volontà di non far pagare a tutti i propri errori, ma di metterli in conto solo ad alcuni. Ora il Fmi comincia ad ammetterlo, ma molto deve ancora essere fatto per correggere una dottrina nefanda.
Quel che si deve fare, per uscire dalla crisi, lo sappiamo bene. Ma non lo facciamo perché i protagonisti sono tutti legati a un orizzonte temporale che non è quello degli interessi del Paese. Viviamo regolando i conti del passato anziché propiziare quelli del futuro.”

La quarta di copertina

L’Italia è un Paese solido. Il nostro debito pubblico era divenuto troppo alto, ma negli anni della crisi quello degli altri è cresciuto assai più del nostro. Abbiamo un patrimonio largamente superiore ai debiti, ponendoci a un livello di sicurezza che compete con la Germania, lasciando indietro tutti gli altri. Eppure il racconto pubblico è assai diverso, oscillando fra la geremiade e la rassegnazione. Il fatto è che non essere stati capaci di risolvere i nostri mali ci rende incapaci di riconoscere le nostre forze. Un corpo forte, l’Italia, grazie ai molti che continuano a correre per il mondo. Ma con un sistema nervoso vicino al tilt. È la nostra vita collettiva a dare il peggio. In politica, certo, ma non solo: c’è un deficit impressionante di classe dirigente. Così va a finire che si spezzano le ginocchia a chi corre e si protegge e consola chi s’accascia alla nascita, indebolendo tutti. Il libro contiene ricette specifiche. Alcune, dopo averle lette, sembreranno ovvie. Il problema non è che debbano essere complicate, per sembrare dotte, ma che non ci sia la forza di trasformarle in altrettanto ovvia realtà.

Ufficio Stampa  – Antonio Cavallaro

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