Fuoriclasse in punta di piedi: Il ct del Mundial ’82 si congeda dalla vita lasciando un bellissimo profilo di onestà umana e valore sportivo.

Di Enzo Bearzot potremmo ricordare molti frame. Quasi tutti associati a quella straordinaria avventura sportiva che è stato il superattico pallonaro della vittoria mondiale di 28 anni fa. Le tante movenze di giubilo di quell’11 luglio, la grinta felina in panchina nella monumentale partita contro il Brasile, il misurato furore per gli stenti di squadra di inizio Mundial. Enzo Ferrari lo definì”agitatore di anime”, che nel glossario dell’unico Enzo d’Italia più famoso del ct azzurro, indicava chi sapeva innescare come pochi altri l’ego di ogni calciatore. Scalò l’Everest del pallone, Bearzot, nel 1982. Ma la vera stratosfera calcistica la propose nel 1978, con quella nazionale la cui sola immaturità ne limitò il proprio debordante talento e l’innovativo sistema di gioco. Per molti fu quella la nazionale da scrivere in maiuscolo grassetto fra tutte le altre della storia. Assai di rado, forse mai, un allenatore ha accomunato l’unanime giudizio di grandezza morale fra i suoi giocatori come Enzo Bearzot.

 La storia del calcio racconta di tanti condottieri vincenti, dai rapporti e dagli atteggiamenti turbolenti. Storie di giocatori sentitisi scaricati o schiacciati dal Ct personaggio, artefice di tante vittorie al costo però di molta umanità da spogliatoio lasciata per strada. Bearzot alzava di rado la quota decibel, alla sua esperienza ed al suo carisma non serviva urlare. La sua alchimia era il dialogo con il giocatore, il rapporto franco e diretto con chi sudava la maglia sul campo secondo le sue coordinate. Anche chi, panchinaro, restava spesso nel minutaggio piccolo del match giocato, sentiva per sé l’attenzione di chi era sempre a referto dal primo minuto. Era un uomo onesto, Enzo Bearzot. Era una persona per bene. Non campeggiavano sue polemiche sui giornali. Non uscivano roboanti proclami dalla sua bocca. Non ha mai smesso di chiamare gli azzurri iridati ”Figli Miei”. Quel calcio denso di passione popolare e fermento umano, trovava in lui l’interprete maximo. Dove il risultato sportivo sfociava da un percorso fatto di valori forti e semplicità nel proporsi. Questo pretendeva di trasmettere ai suoi, perché”nessuna tattica posso insegnare ai miei ragazzi se non sono abbastanza amici e uomini da avere la voglia di sudare uno per l’altro”. Un concetto chiaro, solo apparentemente banale, di un uomo che nel silenzio stampa del Mundial ‘82, nella sua simpatia ed umanità,nel suo guardare dritto negli occhi, sta agli antipodi del frastuono, dell’ipocrisia e delle volgarità del calcio di oggi.

Ciao Enzo Bearzot, ci mancherai, Fuoriclasse in punta di piedi!

Francesco Romeo

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