La Cassazione. Il “giro di vite” continua: basta il video per licenziare il furbetto del cartellino

Sanzione espulsiva inflitta in base all’ordinanza del gip che dispone la misura cautelare: è fonte di cognizione delle emergenze istruttorie delle indagini penali, con i pedinamenti e i dati del badge

Basta il video che immortala i magheggi ai tornelli per far licenziare il furbetto del cartellino. E ciò benché le riprese che dimostrano le uscite e gli ingressi illeciti dalla sede di servizio appartengano all’indagine penale in corso e risultino dall’ordinanza del gip, che ha disposto la misura cautelare a carico del dipendente pubblico indagato. È irrilevante, dunque, che il lavoratore non sia stato ancora dichiarato colpevole né che alcun giudicato penale si sia formato sul punto: il provvedimento del giudice è fonte di cognizione di emergenze istruttorie come l’esito dei servizi di pedinamento e i dati del badge, oltre che le registrazioni filmate. Lo stabilisce la Cassazione con la sentenza 32611/2022 pubblicata il 4 novembre dalla sezione lavoro. Diventa definitivo il licenziamento disciplinare inflitto alla dipendente di un Comune siciliano. Per i giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Video e pedinamenti non lasciano dubbi: la furbetta lascia il cartellino nel marcatempo e sono i colleghi compiacenti a timbrarlo, consentendole di entrare e uscire dall’ufficio in orari diversi da quelli che risultano all’amministrazione; in altre occasioni è la donna che ricambia il favore prestandosi a strisciare il badge per conto di un collega. L’intenzionalità è certa e la gravità tale da suscitare un’indagine penale: la massima sanzione risulta dunque congrua. Il tutto benché sul piano penale la lavoratrice sia comunque non colpevole fino a sentenza definitiva. Non giova all’incolpata dedurre che soltanto il giudicato penale, a certe condizioni, può avere efficacia nei giudizi disciplinari o comunque civili: il punto è che la Corte d’appello non valorizza l’ordinanza cautelare del gip nei suoi effetti propri di provvedimento di un giudice, ma soltanto come documento che riconosce determinate risultanze istruttorie. E dunque come fonte di cognizione di video, pedinamenti e dati del badge. Nel processo civile, d’altronde, vige il principio di valutabilità delle prove documentali atipiche: in modo del tutto rituale il giudice di secondo grado fa leva sugli elementi istruttori desunti grazie alla mediazione dell’ordinanza emessa in sede penale. E decide che in base a dati oggettivi e atteggiamenti soggettivi non consentano una diversa sanzione”.

Comunicato Stampa “Sportello dei Diritti”

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