Chi credeva che il mobbing non fosse più un tema d’attualità a livello giurisprudenziale per la Cassazione, si sbagliava di grosso. Perché la sezione civile della Cassazione sezione lavoro, con l’ordinanza 31514 depositata il 25 ottobre 2022, ha ribadito alcuni principi fondamentali per la configurabilità e sanzionabilità delle condotte vessatorie da parte dei datori, anche se facenti parte di un ministero dello Stato, che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, nella battaglia che l’associazione conduce in materia, ritiene utile riportare all’attenzione. Per la Cassazione il lavoratore ha diritto all’indennizzo Inail anche per ansia e depressione causati dal mobbing in azienda. L’importante è che la malattia derivi dal fatto oggettivo dell’esecuzione della prestazione in un determinato ambiente. Lo ha affermato la Cassazione con l’ordinanza che ha accolto il ricorso di un lavoratore. La corte d’appello di Perugia, confermando la pronuncia di primo grado, aveva negato diritto all’indennizzo nei confronti dell’Inail per il disturbo post-traumatico da stress cronico con depressione e ansia miste, conseguente all’azione di mobbing messa in atto dalla datrice di lavoro. Il collegio, dopo aver affermato il nesso causale tra la condotta di mobbing e la patologia, ha ritenuto che si fosse al di fuori della malattia professionale indennizzabile. La vertenza è così giunta in Cassazione dove il lavoratore ha sostenuto che non occorreva ricercare il nesso tra la malattia e una specifica lavorazione, in quanto sarebbe ammesso l’indennizzo anche per malattie non tabellate, purché sia dimostrata la loro origine professionale. Per i giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “La malattia professionale è indennizzabile anche quando non sia contratta in seguito a specifiche lavorazioni, ma derivi dall’organizzazione del lavoro e dalle sue modalità di esplicazione. Così, ad esempio, è stato riconosciuto l’indennizzo a un lavoratore che aveva contratto malattia professionale dovuta allo stress subito per le eccessive ore di lavoro straordinario. Ciò che importa, in sostanza, è che la malattia derivi dal fatto oggettivo dell’esecuzione della prestazione in un determinato ambiente di lavoro, seppur non sia specifica conseguenza dalla prestazione lavorativa. La tutela assicurativa, ha proseguito la Cassazione, è quindi da rapportare “al lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine”. Dunque, l’assicurazione è obbligatoria per tutte le malattie, anche diverse da quelle comprese nelle tabelle, purché si tratti di malattie delle quali sia provata la causa di lavoro. Inevitabile il rinvio alla corte d’appello per un nuovo esame della vicenda”. Pertanto, Giovanni D’AGATA, impegnato in prima persona da anni nella lotta contro il mobbing sui luoghi di lavoro, esprime sincera soddisfazione per il riconoscimento da parte della Suprema Corte, di un principio importante che rafforza le tutele e le garanzie dei lavoratori contro le ingiustizie ed i soprusi sui luoghi di lavoro.
Comunicato Stampa “Sportello dei Diritti”