Magna Graecia Film Festival, Marco Tullio Giordana terzo ospite delle Masterclass realizzate con il sostegno della Calabria Film Commission

Sognava di fare il pittore, almeno fino all’età di 20 anni, fino a quando il cinema si è rivelato nella sua potenza espressiva, capace di colorare con la stessa intensità di un pennello, ma per immagini, senza veli e senza filtri. Marco Tullio Giordana, tra i più acclamati registi italiani di impegno civile considerato l’erede dei registi come Francesco Rosi, si è raccontato con simpatia e naturalezza, svelandosi con leggerezza – incalzato dall’amico Fabrizio Corallo – al pubblico accorso al chiostro del Complesso Monumentale San Giovanni, nel corso della masterclass in programma nella quarta giornata del Magna Graecia Film Festival, nell’ambito degli incontri e dei talk realizzati con il sostegno della Calabria Film Commission.

A dargli il benvenuto, il Commissario straordinario della Calabria Film Commission, Anton Giulio Grande – insieme al direttore artistico del Festival, Gianvito Casadonte -, sottolineando l’importanza del lavoro di Giordana, del suo percorso artistico e delle sue collaborazioni. “E’ un’occasione unica, è la prima volta che la Calabria Film Commission dà un contributo fattivo ad un Festival del cinema – ha poi aggiunto il Commissario straordinario -. Abbiamo scelto il Magna Graecia Film Festival perchè è un festival che vanta 19 anni di intenso lavoro e soprattutto è una realtà consolidata nel panorama non solo nazionale, ma anche internazionale. Si stanno susseguendo, quindi, giorno dopo giorno, delle Masterclass con degli ospiti importanti, tra attori e registi, e alla fine resteranno come prodotto video antologico della Film Commission”.

Tra gli incontri, dunque, quello di ieri con Marco Tullio Giordana, che Anton Giulio Grande ha definito “una vera e propria lectio magistralis”. “I bei film sono quelli che denotano accuratezza nella ricostruzione e nella messa in scena”, sostiene il regista, che ha esordito con “Maledetti vi amerò” (1980) – anche se lavora per la prima volta nel 1977 ad un documentario di Roberto Faenza sulla Dc – dedicando poi la sua opera a temi controversi come il terrorismo (“La caduta degli angeli ribelli”, “La meglio gioventù”), la mafia (“I cento passi”, “Lea”, “Due soldati”), l’immigrazione clandestina (“Quando sei nato non puoi più nasconderti”), il fascismo (“Notti e nebbie”, “Sanguepazzo”), il crimine occulto (“Pasolini, un delitto italiano”, “Romanzo di una strage”, “Yara”), le molestie sessuali (“Nome di donna”). Ha diretto, inoltre, molti spettacoli teatrali, scritto romanzi e saggi. Lo ritroveremo proprio a teatro – grazie ad un progetto con il Teatro Stabile del Veneto – con uno dei suoi attori, il Peppino-Luigi Lo Cascio, per uno spettacolo dedicato a Pasolini, del quale quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita.

Ho perso mio padre quando avevo 8 anni, a differenza dei miei coetanei che negli anni ’60 e ’70 contestavano per ‘uccidere il padre’ io problema opposto – racconta – non ho avuto l’atteggiamento di rifiutare quello che c’era prima, ma di conoscerlo a fondo, ed essere conseguente”. Racconta ancora di come reclutò il gruppo di attori straordinari che hanno lavorato ne “La Meglio Gioventù”: da Fabrizio Gifuni ad Alessio Boni, fino a Sonia Bergamasco, “una specie di Saranno Famosi, tutti a festeggiare Lo Cascio che aveva vinto il David di Donatello 2001 come miglior attore protagonista. E li ho presi tutti, erano amici, e questo si vedeva nel gioco di squadra sul set”. E parlando del futuro del cinema che, a differenza del teatro, resta sofferente con sale vuote, afferma: “Gli spettatori sono come i bambini, magari non capiscono ma sentono, e quindi non li inganni: chi esce di casa vuole vedere qualcosa di alto, parole pensate non il calco di quello che vede in televisione”.

Le Masterclass e i talk proseguiranno oggi, con l’appuntamento delle 18, al Chiostro del San Giovanni, con Jeremy Piven, e questa sera, alle 21, con il talk sul palco dell’Arena Porto, che vedrà protagonista Domenico Vacca.

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