(DIRE) Roma, 3 giu. – Si accende il dibattito politico sui salari. Il vice presidente di Forza Italia, Antonio Tajani, si scaglia contro la Cgil che propone un prelievo sui redditi alti per finanziare l’aumento degli stipendi. Il clima è sempre più rovente attorno a Palazzo Chigi: i sindacati, seppur divisi tra loro, sono in pressing, mentre Confindustria non sembra intenzionata a firmare un nuovo patto sui salari sul modello di quello di Ciampi del ’93. In attesa che il premier Mario Draghi convochi un tavolo con le parti sociali, i dati possono aiutare a capire la situazione dell’Italia, fanalino di coda in Europa anche nelle classifiche sulle retribuzioni dei dipendenti. I dati dell’Ocse sono sconcertanti: negli ultimi trent’anni l’Italia è l’unico paese in cui i salari annuali medi sono diminuiti, precisamente del 2,9%. Senza andare a confrontare la crescita dell’ex blocco sovietico dove le retribuzioni sono cresciute di almeno il doppio, è il paragone con i paesi simili al nostro che segna una distanza enorme. In Germania i salari sono cresciuti del 33%, in Francia del 31%, in Belgio e in Austria del 25%, in Portogallo del 14 e in Spagna del 6%.
Gli stati scandinavi registrano poi il +63% della Svezia, il +39 della Danimarca e il +32% della Finlandia. Insomma, un altro mondo. Tra i più colpiti dagli squilibri del mercato del lavoro italiano ci sono sicuramente i giovani. Eurostat ha calcolato gli stipendi europei della fascia 18-24 anni. La media annuale Ue è di 16.825 euro e il nostro paese si attesta sotto questa soglia con 15.858 euro. Peggio fa la Spagna con 14.085 euro, ma i livelli di Francia (19.482), Paesi Bassi (23.778), Germania (23.858) e Belgio (25.617) sono decisamente superiori. Se guardiamo la paga oraria complessiva di tutti i lavoratori, sempre secondo quanto emerge dai dati dell’Istituto statistico europeo, si nota che gli italiani guadagnano in media 8 euro l’ora in meno rispetto a tedeschi e olandesi. E non è il costo del lavoro a penalizzare il nostro sistema perchè, a quanto risulta consultando i numeri del 2021, il costo medio orario del lavoro in Italia è di 29,3 euro, tenedo conto di salari, contributi e altre tasse. In Spagna è più basso (22,9 euro), ma in Germania è di 37,2 euro, in Francia di 37,9, in Olanda di 38,3, in Belgio 41,6 euro. Cosa può fare il governo? Al di là dell’aiuto da 200 euro nel cedolino di luglio per i redditi fino a 35 mila euro e i vari bonus energetici già varati, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha ipotizzato di detassare i rinnovi, visto che il 40% dei lavoratori italiani ha il contratto scaduto. Una misura che potrebbe essere finanziata, ad esempio, con il prelievo una tantum proposto da Landini sui redditi alti, o alzando la tassa sugli extraprofitti delle società energetiche.
I sindacati avevano messo sul tavolo l’idea di tassare tutte le tranche di salario legate ai rinnovi contrattuale con un’aliquota al 10%, anzichè al 33%. Un modo dunque per agevolare anche la firma delle associazioni datoriali, preoccupate di dover sborsare troppo soldi. Il ministro della Pa, Renato Brunetta, in un paper scritto insieme al giuslavorista Michele Tiraboschi, pone l’accento sulla produttività stagnante che caratterizza il paese e sul tasso di occupazione regolare. Secondo i dati Eurostat, infatti, in Italia lavora soltanto il 58,2% della popolazione in età di lavoro, contro una media europea del 68,4%. Per Brunetta e Tiraboschi “la via maestra sui salari resta quella della contrattazione collettiva, dentro, però, un percorso di reale riforma degli assetti contrattuali e delle dinamiche retributive coerente con le recenti nuove trasformazioni del lavoro. In questo contesto si giustificano anche le misure di incentivazione della contrattazione di produttività e del welfare aziendale, che tuttavia possono e debbono essere rivisitate in termini di maggiore effettività. Questi potrebbero essere i contenuti di un innovativo ‘patto sociale’ come bene pubblico europeo”. (Lum/ Dire) 16:14 03-06-22