Raoul Bova è senza dubbio da considerare tra gli attori più sexy del panorama cinematografico italiano. Nonostante ciò ha spesso cercato di dimostrare di valere più del suo aspetto fisico, soprattutto con buone interpretazioni in fiction televisive, ed è ben lontano dallo stereotipo del “bello e dannato” in quanto si è sempre mantenuto distante dalla mondanità ed ha costruito ben presto un legame stabile con la moglie Chiara Giordano, che gli ha dato due figli. Ma cominciamo dalle origini: Raoul nasce a Roma da genitori calabresi, il padre Giuseppe è dipendente Alitalia e la madre Rosa casalinga. Dopo aver ottenuto il diploma all’Istituto Magistrale, l’attore romano si iscrive all’ISEF ma non porta a termine gli studi, poiché nel frattempo è diventato un nuotatore della squadra S.S. Lazio, con la quale vince il campionato italiano nei 100 metri stile dorso. Studia recitazione alla scuola Beatrice Bracco di Roma, contemporaneamente affronta i primi provini e nel 1992 debutta in tv con una fiction che ha molto successo, “Una storia italiana”, basata sulla vita dei fratelli Abbagnale, campioni di canottaggio. Nello stesso anno Pino Quartullo gli offre il suo primo film “Quando eravamo repressi” e poco dopo Roberto D’Agostino lo arruola per “Mutande Pazze” (1992). La carriera di Raoul prosegue, dunque, su due binari: quello cinematografico (nel quale lavorerà con grandi registi come Lina Wertmüller e Pupi Avati) e quello televisivo (che gli porta l’apprezzamento del grande pubblico). Le adolescenti degli anni ’90 iniziano ad adorarlo in “Piccolo grande amore” (1993) di Carlo Vanzina, in cui interpreta Marco, maestro di surf in Costa Smeralda che non sa di essersi innamorato di una principessa sotto mentite spoglie. La scena in cui Bova esce dal mare e viene avvistato dalla protagonista interpretata da Barbara Snellenburg è rimasta nel cuore di molte teenagers dell’epoca. Nel 1995 Raoul entra nel ricco cast di “Palermo – Milano solo andata”, accanto a giovani di talento come Valerio Mastandrea e Ricky Memphis, ma anche ad attori affermati come Giancarlo Giannini e Stefania Sandrelli. Nel 2007 è stato girato un sequel “Milano Palermo – Il ritorno”, sempre con la regia di Claudio Fragasso, che tuttavia non ha ottenuto il medesimo successo del primo. Gabriele Lavia lo vuole per “La lupa” (1996), tratto da una novella di Giuseppe Verga, mentre Lina Wertmüller lo sceglie per “Ninfa Plebea” (1996) e per la fiction tv “Francesca e Nunziata” (2001), accanto a Sophia Loren e Claudia Gerini. Bova viene nuovamente diretto da Fragasso in “Coppia Omicida” (1998), accanto all’altro bello Raz Degan. Nel 2001 recita per Pupi Avati ne “I cavalieri che fecero l’impresa”. In questo periodo inizia la sua esperienza americana, che è caratterizzata da film che non sono certo rimasti nella storia della cinematografia come “Avenging Angelo” (2002) in cui è l’antagonista di Sylvester Stallone e “Alien vs Predator” (2004) di Paul W. S. Anderson. Nel 2003 lavora in Italia in “Sotto il sole della Toscana”, accanto a Diane Lane, in cui è il classico rubacuori italiano che fa perdere la testa ad una donna americana che si è trasferita a Cortona, in Toscana. La pellicola è tratta dal best seller “Under The Tuscan Sun” di Frances Mayes. Nello stesso anno Bova è nel cast del toccante “La finestra di fronte” di Ferzan Ozpetek in cui è Lorenzo, il vicino di casa che Giovanna Mezzogiorno spia e dal quale viene spiata. È del 2006 “Io, l’altro”, di Mohsen Melliti di cui Raoul è anche produttore, incentrato sul conflitto culturale tra due pescatori, uno cattolico e l’altro musulmano, uniti però da una sincera amicizia. Grande risonanza ha avuto nel 2008 il primo lungometraggio di Federico Moccia come regista “Scusa ma ti chiamo amore” in cui Bova si è divertito ad interpretare per la prima volta il bello e impossibile, accanto all’esordiente Michela Quattrociocche. Il film, tratto dall’omonimo libro di Moccia, ha avuto un tale successo da portare alla realizzazione del sequel “Scusa ma ti voglio sposare” (2009). Bova, per il suo sguardo da buono, è stato spesso ingaggiato in tv per ruoli da rappresentante delle forze dell’ordine in lotta contro la mafia o il terrorismo e come tale è entrato nell’immaginario collettivo grazie a fiction, quali le tre serie di “Ultimo”, le tre della “Piovra”, “Nassiryia” e “Attacco allo Stato”. Basti pensare che la fiction “Ultimo” (ispirata alla storia vera di un carabiniere soprannominato Ultimo, impegnato nella lotta alla cosche mafiose) ha ottenuto ascolti eccellenti anche in replica (otto milioni di spettatori alla prima emissione su Canale 5). Dopo un cameo nel film parodia “Ti stramo” (2008), con l’esordio di Pino Insegno alla regia è stato inoltre protagonista dello sperimentale “Sbirri” (2009) di Roberto Burchielli. Fa parte del cast della pellicola di Tornatore “Baarìa” (2009), recita in “La bella società” (2009), di Gian Paolo Cugno, affianco alla procace Maria Grazia Cucinotta, e ne “La nostra vita” (2010) di Daniele Luchetti, in cui interpreta il fratello maggiore di Elio Germano. Dopo una serie di ruoli più impegnativi lo ritroviamo nel 2010 in una divertente commedia diretta da Vanzina “Ti presento un amico”, in cui interpreta un giovane manager che, fresco della rottura di una seppur breve relazione, si trova coinvolto in una girandola di presentazioni femminili.
Raoul e la sua esperienza in Calabria
« … Me lo sento ancora addosso l’abbraccio di mia nonna. Forte, allegro, pieno di gioia. Quando nonna Nina mi stringeva sentivo tutti gli odori della cucina, quei profumi di verdure fresche e pane caldo che in un appartamento di città non esistono. Io mi rifugiavo tra le sue braccia e lei interrompeva qualsiasi faccenda per stare con me. Mi raccontava le favole. Me le ricordo ancora tutte. Quell’abbraccio di benvenuto a Roccella Jonica, nel paese di mio padre, era anche l’inizio della mia estate. Non quella del calendario, ma quella vera, delle vacanze e del divertimento ultraconcentrato nel tentativo di recuperare emozioni sacrificate all’inverno, allo studio e soprattutto al nuoto. Centinaia di vasche in piscina, allenamenti durissimi: 6 giorni su 7, due ore di mattina, due ore di pomeriggio e poi un’ora di palestra. Alle 5 del mattino ero già in acqua. Alle 7 mia madre mi preparava la carne, prima di andare a scuola. E così sempre, fino ad arrivare a quel mese, a volte due, vissuto in un piccolo paradiso di spiagge a ciottoli e mare trasparente. Il paradiso di tutte le mie vacanze, da bimbo e da adolescente. Quello anzi è stato il periodo più tragico. Perché io ero proprio un pesce fuor d’acqua. Timido, poco abituato a interloquire, mi sentivo sempre inadeguato alla situazione. E più crescevo, più le cose si complicavano. Le mie primissime esperienze con le ragazze, per esempio, sono state proprio d’estate, dai nonni in Calabria. Ero imbranato, diventavo subito rosso, non riuscivo a sciogliermi. Per spiccicare una parola dovevo bere una birra. Figuratevi quante ne dovevo ingurgitare prima di pronunciare una frase… Alla fine desistevo e me ne andavo a dormire. Non sapevo nemmeno ballare, sbagliavo il ritmo, ero sempre in perfetto controtempo. A volte provavo le mosse davanti allo specchio. Fantozzi? Sì, proprio lui. A 16 anni mi innamorai di una francese. Lei non mi guardava mai e io ci ho messo un’estate per riuscire a parlarci. Il giorno in cui partiva riuscii a darle un bacio. Uno solo. Proprio un disastro… Da bambino andava meglio. Partivo con mia madre Rosa, mio padre Giuseppe e le mie due sorelle. Tiziana, la maggiore, è sempre stata la mamma in seconda, protettiva, amorevole. Daniela, cinque anni più di me, era quella dei bisticci. Insieme ci siamo rotti di tutto, sopracciglia, mento, denti. Ma c’era anche tanta complicità. (…) Nell’orto dei miei zii raccoglievamo fichi e pomodori. Io però andavo pazzo soprattutto per i mostaccioli, una specie di biscotti, e per le sopressate, che poi sono le salsicce piccanti calabresi. Roccella Jonica per me è soprattutto un fatto di sapori e colori. Mi ricordo la festa quando arrivava l’omino con l’ape che vendeva la gassosa. Noi prendevamo le casse e gli restituivamo i vuoti. Andavamo pazzi per le «Scirubette», bibitoni di granita di limone e gassosa. La sera li sorseggiavamo in piazzetta dove stavamo fino a tardi. A volte aspettavamo che il panificio aprisse per prenderci i cornetti al cioccolato. Un paese piccolo Roccella, ma pieno di vita. A fine giugno c’era la festa di San Vittorio e i fuochi d’artificio e la processione sulla collina del castello. Lì si incontravano la Madonna e San Giuseppe. A luglio immancabilmente partecipavo con tutti i miei cugini all’albero della cuccagna. Cercavi di scalarlo, ma poi se acchiappavi un prosciutto non ci badavi neppure. E poi la pignatta, con il pentolone da rompere a colpi di bastone. (…) A Roccella arrivava anche la parte più allegra e scherzosa della famiglia, quella napoletana di mia mamma Rosa. Lei, come spesso succede, era il perno di tutto. A Roccella giocava a carte con le mie zie e io stavo incollato a lei, a contarle le fiches. Quando andavamo in spiaggia eravamo in tantissimi. A volte organizzavamo dei picnic e, dopo mangiato, riposavamo all’ombra degli alberi. Gli stabilimenti non c’erano ancora. L’estate era anche il momento in cui finalmente mi godevo completamente mio padre. Lui e mio zio Enzo mi portavano a pesca. Ci si alzava alle 5 ma io, con la paura che si dimenticassero di me, mi svegliavo sempre qualche minuto prima. All’inizio erano i remi a spingerci al largo, poi un motorino che si accendeva discreto in quel silenzio assoluto, mentre scivolavamo verso il sole che sorgeva. Una palla enorme. Mio padre e mio zio mi raccontavano le loro avventure da ragazzi.
Io stavo quasi sempre zitto, per non spezzare l’incanto. Il giorno della partenza era il più strano. Mi alzavo presto, da solo, e andavo a nuotare. Era l’appuntamento con me stesso, al quale non avrei mai rinunciato. Con la mente ripercorrevo i giorni appena finiti. Uno sguardo al castello, su in alto. Un altro alle barche ancorate. E nuotavo a perdifiato…».
Antonella Pirrotta