Nessuna sanzione al prof dissenziente. Conta la volontà della comunità scolastica, possibile esporre i simboli religiosi delle confessioni presenti in classe. No a ordini dal preside né veto del docente. Norme del 1928, manca una legge
Il Crocifisso in aula va esposto se lo decide la comunità scolastica: gli alunni, dunque, ma anche i prof. E non può essere un obbligo imposto dai pubblici poteri. Non può allora essere sanzionato il docente che pretende di far lezione in classe rimuovendo il simbolo religioso: la circolare del dirigente che ordina l’affissione non è conforme al modello di una scuola «dialogante», così come il prof dissenziente non ha un diritto di veto. E ciò perché bisogna trovare un accordo fra posizioni difformi, esponendo eventualmente anche i simboli delle altre confessioni presenti in classe. Non va quindi risarcito l’insegnante perché è esclusa la discriminazione: il crocifisso fa parte della tradizione culturale italiana e l’esposizione in classe non comprime la libertà di coscienza e di insegnamento dell’interessato. Va detto, tuttavia, che le disposizioni che regolano l’arredamento delle classi scolastiche risalgono a un regolamento del 1928, mentre manca una legge del Parlamento: la norma può – e deve – interpretata in senso conforme alla Costituzione. Lo stabiliscono le Sezioni unite civili della Cassazione con la sentenza 24414/21, pubblicata il 9 Settembre.
È accolto dopo una doppia sconfitta in sede di merito il ricorso proposto dal docente di un istituto professionale statale: risulta illegittima la sanzione disciplinare di trenta giorni di sospensione dall’insegnamento inflitta al lavoratore. Per convinzioni personali il prof di lettere è abituato a staccare il crocifisso dal muro prima di fare lezione e a riappenderlo alla fine della sua lezione. Ma sono stati gli studenti a chiederne l’esposizione: nell’assemblea di classe decidono a maggioranza di mantenere appeso il simbolo religioso durante tutte le ore. Il dirigente emana una circolare in cui richiama i docenti al dovere di rispettare la volontà dei discenti. Il professore, però, continua a fare come prima. Ne nasce un braccio di ferro col preside fra polemiche al calor bianco, che sfocia nel procedimento davanti all’ufficio scolastico regionale.
Trova ora ingresso la censura che denuncia la violazione del principio di laicità dello Stato, che impone equidistanza e imparzialità verso tutte le confessioni. L’ordine di servizio è illegittimo perché non ha cercato né promosso «un accomodamento da tutti sostenibile, sollecitando i protagonisti a valutare le molte possibilità praticabili sulle modalità di esposizione». E dunque evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, risulta travolta la sanzione disciplinare inflitta al lavoratore. Risarcimento escluso perché in Italia al crocifisso si lega «all’esperienza vissuta di una comunità».
c.s. – Giovanni D’Agata