Analizzato, attraverso tecniche multidisciplinari, l’evento di fontana di lava che ha interessato l’Etna il 12 marzo 2021.
Lo studio, condotto da un team dell’Osservatorio Etneo dell’INGV, ha permesso di definire in quanto tempo una fontana di lava forma una colonna eruttiva e per quanto tempo quest’ultima si disperde nell’atmosfera.
Tra i vari episodi di fontane di lava che hanno interessato l’Etna nella prima metà del 2021, quello del 12 marzo si è potuto studiare in dettaglio grazie alle eccezionali condizioni meteorologiche che hanno consentito una visibilità ottimale del fenomeno.
La ricerca ha evidenziato come il pennacchio di cenere si sia formato entro mezz’ora dall’inizio dell’evento, abbia raggiunto i 12,6 km di quota e sia rimasto in atmosfera per circa due ore dopo la cessazione delle fontane. Questi alcuni dei risultati dello studio “Anatomy of a Paroxysmal Lava Fountain at Etna Volcano: The Case of the 12 March 2021, Episode” condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e recentemente pubblicato sulla rivista ‘Remote Sensing’.
“Durante quest’anno”, spiega la ricercatrice Sonia Calvari, primo autore dello studio, “l’Etna ha avuto diversi episodi di fontane di lava. Abbiamo voluto analizzare con metodi multiparametrici quello che ci è sembrato il più intenso e che, tra l’altro, è avvenuto di giorno e con condizioni meteorologiche favorevoli.
In dettaglio, abbiamo utilizzato tre metodiche diverse di cui ognuno degli autori della ricerca è specialista. Io ho analizzato le immagini delle telecamere di monitoraggio gestite dall’Osservatorio Etneo dell’INGV, Gaetana Ganci ha utilizzato le tecniche satellitari e delle routine automatiche da lei appositamente sviluppate per l’analisi di immagini termiche ottenute da telecamere fisse, e Alessandro Bonaccorso ha utilizzato l’analisi delle deformazioni rilevate con una stazione dilatometrica, ovvero un sensore installato in un pozzo profondo circa 150 metri, situato a circa 10 km dalla zona sommitale dell’Etna, che registra così un segnale scevro da qualsiasi influenza superficiale di natura antropica o meteorologica”.
“Attraverso il confronto dei dati raccolti abbiamo potuto ottenere il volume totale eruttato. Inoltre abbiamo potuto rilevare, per la prima volta, come il volume totale del materiale eruttato durante questa fontana di lava sia stato inferiore alla somma delle colate laviche e della parte piroclastica: c’è infatti una parte del materiale prodotto dalle fontane che rifluisce lungo il pendio del vulcano e va ad alimentare le colate laviche”.
“Infatti”, prosegue la ricercatrice “abbiamo calcolato che durante questo evento eruttivo è stato emesso un volume totale di 3 milioni di metri cubi di materiale, valore ottenuto dal dilatometro. Dai dati satellitari abbiamo ottenuto la quantità di lava eruttata, pari a 2,4 milioni di metri cubi, mentre dall’analisi delle immagini delle telecamere abbiamo ottenuto 1,6 milioni eruttati sotto forma di materiale piroclastico. La differenza tra il valore totale ottenuto dal dilatometro e la somma dei due parziali ottenuti dall’analisi delle telecamere e dai dati satellitari, che corrisponde al 30% del materiale piroclastico, è dovuto al fatto che quest’ultimo è rifluito lungo il pendio per gravità ed è andato ad alimentare le colate laviche”.
“La ricerca”, conclude Sonia, Calvari “proseguirà con l’analisi di tutti gli eventi di fontane di lava che si sono verificati dal dicembre dello scorso anno e che tuttora si verificano, al fine di cogliere delle variazioni nel tempo che possano far capire la possibile evoluzione del fenomeno e i processi che avvengono nel sistema di alimentazione del vulcano”.