Nonnismo in caserma e responsabilità del Ministro della Difesa

 

Nonnismo in caserma

28\10\2016 – Di recente, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di “nonnismo” nell’esercito: sebbene tale increscioso fenomeno di atti persecutori da parte dei militari prossimi al congedo nei confronti delle reclute, sia ufficialmente vietato e scoraggiato, tali pratiche continuano ad essere costantemente praticate, cagionando, talvolta, nelle vittime, danni psichici di non poca rilevanza. Invero, con la Sentenza n. 4809/13 la Suprema Corte ha statuito che gli episodi di nonnismo possono aggravare i problemi psichici delle giovani reclute e, pertanto, il Ministero della Difesa è obbligato a risarcire il danno da costoro subito. Con tale pronuncia la Suprema Corte avalla l’orientamento formatosi, ad oggi, sul punto: difatti, già in una delle ultime sentenze del 2012, gli Ermellini in sede penale hanno statuito che il reato di “lesione personale” cagionato dagli episodi di nonnismo non è scriminato dal consenso della vittima del delitto; difatti, l’eventuale consenso a sottoporsi alle “prove di iniziazione” non costituisce una scriminante, poiché la manifestazione di volontà del soggetto passivo non può, in alcun modo, ritenersi libera da condizionamenti, e ciò tenuto conto della forzata convivenza in caserma tra aggressori e vittime e, quindi, del clima di intimidazione creato dai militari più anziani nei confronti delle reclute. Nel caso vagliato dai Giudici di legittimità con la Sentenza n. 4809/13, il comportamento dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, in particolare, di coloro che avevano visitato il giovane ritenendolo “idoneo” al servizio militare nonostante la sua “personalità fragile e insicura”, e di coloro che, successivamente, l’avevano avuto alle proprie dipendenze durante il servizio di leva, ha contribuito ad agevolare e/o aggravare, a titolo di “concausa”, la patologia di cui egli era già portatore, cagionando l’insorgere di paranoie e manie di persecuzione; pertanto, il Ministero della Difesa è stato condannato a risarcire i danni psichici patiti dalla giovane recluta. D’altro canto, però, la Suprema Corte nella medesima sentenza ha precisato che, sebbene gli episodi di “scherno o di vero e proprio nonnismo”, sono “certamente deprecabili” e “vanno condannati”, questi atti “devono essere tenuti in conto come possibili” e a questi bisogna “ovviare con una dose di sangue freddo e self control”, che, però, nel caso specifico, hanno puntualizzato i Giudici, “difficilmente poteva essere richiesto”.

Avv. Antonella Rigolino

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