CEC, Mons. Vincenzo Bertolone. “Il tempo della rimozione”

«Per conservare se stesso, il nostro Io usa di frequente le strategie della rimozione e della negazione, autoingannandosi inconsciamente, perché incapace di reggere la verità»
Nella riflessione del filosofo Umberto Galimberti si cela, molto probabilmente, il senso di quel che accade mentre sul grande schermo della quotidianità scorre il film della vita. Di fronte a scene che richiamano la morte, con centinaia di decessi al giorno per effetto della pandemia, in platea ci si scalda per cambiare pellicola: si discute di cenoni e vacanze, si litiga sugli orari di chiusura dei centri commerciali o su quelli del coprifuoco, ci si domanda quasi terrorizzati se sarà possibile – come ai bei tempi – lanciarsi sugli sci dal cocuzzolo della montagna.
E per questo non si pensa più alla macabra fila di camion militari che nel tardo inverno partivano da Bergamo portandosi via le bare con i cadaveri. Neppure c’è spazio per le decine di migliaia di italiani che, soltanto da agosto ad oggi, sono volati via dalle corsie d’ospedale senza neppure il conforto di una carezza o dell’estremo saluto dei propri cari. Nulla: resta solo la voglia di fuggire, al più presto e di corsa, dalla realtà. Avviene quello che Freud, nella sua teoria psicanalitica, descriveva come meccanismo della rimozione: involontariamente, l’individuo sospinge nell’inconscio pensieri, immagini, ricordi e fantasie, tutto un vissuto, insomma, comunque  pericoloso per il proprio equilibrio. Una sorta di ritirata difensiva rispetto a fatti, circostanze e sentimenti avvertiti come un pericolo interno, trasferiti nell’inconscio da dove però  ritornano sotto forma di sintomi, sogni (meglio: incubi), lapsus, appunto “freudiano”.
«Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi», ha ripetuto più volte papa Francesco, evidentemente inascoltato: la capacità di venir fuori al meglio dalla pandemia è insita  nella disponibilità ad ascoltare l’annuncio di Betlemme, in vista del Natale che viene: bisogna reimparare di nuovo ciò di cui si ha davvero bisogno; bisogna tornare  a pensare, a riflettere, a sperare, a coltivare la memoria del futuro, che è indispensabile per affrontare con creatività le preoccupazioni che ci affliggono e per superare i danni – economici e sociali – che l’emergenza sanitaria lascia dietro di sé. Un Natale diverso, purtroppo per molti anche più povero, può essere occasione per rientrare in se stessi, per maturare la convinzione – di per sé lampante – che la soluzione ai problemi che attanagliano il presente non passa dal frettoloso ritorno al prima, ma dall’apertura alla vita che ricomincia, dalla fragilità di un Bambino.
Un bene inestimabile per l’anima, che si riscopre così in grado di rigenerare la saggezza e la fantasia senza le quali si finisce nel vortice di una ripetitività sfibrante. C’è, insomma, la possibilità di tornare alla grandezza della semplicità, secondo la buona abitudine dell’uomo vivo che prova a fare degli imprevisti una risorsa: le privazioni con cui si dovrà far di conto possono trasformarsi in utile spoliazione dell’inutile, di quell’opulenza che mette al centro di tutto tradizioni “altre” rispetto all’unica che conti veramente. Lì dove, come scriveva Pier Paolo Pasolini, risiede l’unica vera ricchezza: l’amore.
+ Vincenzo Bertolone

banner

Recommended For You

About the Author: PrM 1