Non è mio costume tornare due volte sullo stesso argomento ed a distanza di sole 24 ore, tuttavia l’inesauribile amore naturale che nutro verso la mia Calabria e la straordinaria importanza degli eventi me lo hanno imposto. Dopo le provvide dimissioni del Generale Saverio Cotticelli da Commissario ad acta della Sanità calabrese, il Governo, e il Ministro della Salute in particolare, non memori dell’insegnamento millenario del brocardo latino “culpa in eligendo” hanno nominato senza accuratezza nel Prof. Giuseppe Zuccatelli il nuovo Commissario ad acta per la Sanità calabrese, noto alle cronache, a parte la solita smentita intervenuta oggi con la consueta scusa che la “frase è stata estrapolata da un contesto privato e più ampio”, per avere affermato intorno alla metà del mese di maggio scorso (quindi in piena emergenza pandemica e dunque non scusabile) che: “…. la mascherina non serve ad un c…..o, ve lo dico in inglese stretto ….” e ancora “…. per beccarti il virus tu sai cosa devi fare, devi stare con me e baciarmi per 15 minuti con la lingua in bocca ….”.
Per me ormai è tutto chiaro. La Calabria è stata oggetto di un rituale misterioso e sinistro, è affetta da stregoneria acuta compiuta non dal Mago Otelma o da un molto più efficace Merlino dei giorni nostri, ma da una serie di aspiranti stregoni che hanno deciso di fare del territorio calabrese e dei calabresi il banco di prova delle loro bacchettine magiche: il ministro che fino a qualche anno addietro vendeva le bibite allo stadio San Paolo di Napoli, il professore (uno dei tanti ordinari di diritto privato delle università italiane) arruolato improvvisamente e con suo grande stupore alla politica ed elevato alla massima carica del potere amministrativo, il ministro avvocato che non ha ancora capito la differenza tra dolo e colpa, il portavoce del professore che probabilmente pensa di essere ancora nella casa del Grande Fratello, ed infine il Ministro della Salute che giusto appunto fa di cognome Speranìza, l’unica condizione che ormai resta ai calabresi.
L’ironia, l’alterazione spesso paradossale di un fatto, serve a dissimulare la sua vera natura: la verità è che ci troviamo dinnanzi ad una vera tragedia che ha colpito la Calabria e l’indomito popolo calabrese, i quali sono impotentemente costretti a subire le errate e dannose nomine di un decisore politico che non riesce a scegliere con oculatezza, prudenza e competenza.
Prima un generale in pensione prestato alla sanità (ma il criterio della competenza non esige che un determinato ruolo e mestiere, specie se delicatissimo come quello manageriale-sanitario, venga affidato ad una professionista per l’appunto “del mestiere”? Perché in Calabria, dai Comuni, agli Enti sovracomunali, agli assessorati vari, alla stessa sanità, è ormai invalsa da molti anni la moda di nominare per funzioni pubbliche a loro non pertinenti alti gradi delle Forze dell’Ordine e\o delle Forze Armate e\o funzionari prefettizi di alto rango?), ora invece un cesenate di 76 anni che fino a qualche mese fa, salvo poi pentirsi “sulla via di Catanzaro”, per proteggersi dal virus negava l’utilità della mascherina e stimolava le effusioni purchè di breve durata.
Ma possibile che noi calabresi dobbiamo essere travolti da un destino costantemente cinico e baro?
Possibile che non vi è nell’intero territorio regionale un manager sanitario calabrese doc, conoscitore effettivo del territorio e dei suoi reali problemi, che possa affrontare e risolvere con competenza, onestà e tempestività gli endemici problemi della sanità calabrese?
Ma è possibile che per forza, quando si tratta di questioni calabresi, il salvatore debba giungere sempre da altri luoghi?
Ed ancora, come è possibile che la sanità calabrese sia commissariata da oltre dieci anni e che nessun governo regionale o nazionale abbiamo sentito forte l’obbligo di riparare questa ingiustizia e di ridare alla Calabria ed ai calabresi il diritto-dovere di essere i padroni del proprio sistema sanitario? Per quanto tempo ancora dovremo subire l’onta dei viaggi della speranza verso sistemi sanitari più blasonati ed allo stato sicuramente più efficienti? E coloro che non possono permettersi i periodi di degenza verso le strutture sanitarie settentrionali e devono ricorrere a quella territoriale non hanno forse il diritto costituzionalmente protetto di essere curati con la medesima efficienza, efficacia e dignità? E che dire ancora della mortificante situazione in cui si trovano le migliaia operatori sanitari e amministrativi dei nosocomi calabresi che ogni giorno compiono stoicamente il proprio dovere pur tra mille difficoltà, incomprensioni e inefficienze della struttura commissariale?
Diciamo le cose come stanno: noi calabresi abbiamo sicuramente delle colpe e abbiamo anche contribuito, nel passato, a causare l’insorgenza delle tante problematiche sanitarie che ci affliggono, tuttavia queste scelte orma decennali e così improvvide ed improvvisate in un settore vitale per ogni cittadino calabrese continuano ad essere fatte senza tenere in alcun conto una terra e un popolo che rischiano di pagare prezzi altissimi ad una politica sanitaria nazionale fallimentare che tenta in tutti i modi di coprire i clamorosi ritardi ed errori che hanno favorito la seconda ondata del virus nel nostro Paese.
La risposta alla domanda iniziale è dunque che si tratta di pervicace volontà di minare le fondamenta sanitarie (e quindi, per riflesso diretto, anche sociali) di una regione che invece merita lo stesso rispetto e la medesima considerazione di tutte le altre regioni della Nazione. Io penso sia giunto il momento di dire basta a questo modo di fare politica sanitaria e di individuare nella Calabria il laboratorio in cui alambicchi e pozioni di natura esclusivamente politica, e dunque di insulsa efficacia sanitaria, continuino ad essere usati in pregiudizio del popolo calabrese. E’ giunto il momento di “uno scatto di reni”, di esercitare pienamente il sano senso di fierezza e di laboriosità che costituiscono la matrice vera ed intima del carattere dei calabresi, di reclamare con forza e coraggio da parte delle istituzioni comunali e regionali locali, ma anche da parte della società civile, la restituzione alla Calabria del diritto di essere sovrana del proprio destino e di dimostrare il proprio valore anche nel campo sanitario, che è costituito da donne e da uomini che sono professionisti seri e preparati e che hanno diritto di provare il loro status “sul campo” avvalendosi ed operando in strutture sanitarie moderne, efficienti e dotate di macchinari e tecnologie all’avanguardia (al pari delle altre regioni del Paese). Voglio concludere questo mio breve intervento facendo conoscere, a chi lo ha dimenticato, quale è il carattere dei calabresi e cosa significa “Calabria”.
“Per me Calabria significa categoria morale, prima che espressione geografica. Calabrese, nella sua miglior accezione metaforica, vuol dire Rupe, cioè carattere. È la torre che non crolla giammai la cima pel soffiar dei venti”. – Leonida Rèpaci, Calabria grande e amara, 1964.
Tonino Salsone