Il Covid funziona da rivelatore e certificatore delle gravi inefficienze del Paese. Contestare, sì. Disobbedire, no

di Peppe Giannetto – La critica delle regioni che sono state messe in quarantena più dura e inflessibile (o della Campania il cui amministratore invece avrebbe preferito norme e direttive più rigide) è criticabile e consentito, a condizione che non si oltrepassi i limiti prescritti, oltre che dalle norme, dal bisogno e dalla necessità di non inficiare gli sforzi e i sacrifici indispensabili per affrontare l’ampliamento del virus. La cabina di regia, che ha dispensato pagelle ai territori sulla base dei cervellotici 21 parametri predisposti dal ministero ha fallato al secondo giorno di lockdown. Ed ecco che già la Calabria, da solamente 24 ore in zona rossa insieme a Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, fa istanza al premier Conte di modificare la zona rossa della regione in arancione. Questo in virtù di elementi certi: sono solo 15 i degenti per Covid al momento in terapia intensiva, il 6% dei posti utilizzabili. Da citare, inoltre, che la Sanità calabrese è commissariata dal 2010 e lo sarà almeno per altri 2 anni (il decreto del governo è stato da poco emanato). Qui di seguito l’intervista di ieri sera a Rai 3 al commissario Cotticelli (https://fb.watch/1B-MIFIl7V/). Roba da far rizzare i capelli: il giornalista ha domandato a Cotticelli chi doveva occuparsi della spesa e dei bandi per i fondi riservati alle TI. Cotticelli risponde: “la Regione”. Ed il giornalista: “è sicuro?” Cotticelli chiama la Crocco (sub commissario alla Sanità della Regione Calabria), Maria mi dai la Circolare del Ministero? E legge: i fondi per il potenziamento delle misure di contrasto al Covid sono di esclusiva competenza del Commissario, i bandi devono essere presentati dalle Aziende entro il 3 Novembre. Il giornalista stupito e sgomento gli ripete: “Non lo sapeva??

“Oggi silurato il commissario Cotticelli, certo ma dopo 10 anni dopo i tanti guasti combinati. Ecco anche perché i territori non ci stanno.  È comprensibile che i governatori in disaccordo addossino al governo attuale presieduto dal premier Conte l’attribuzione dei ritardi e della sbadataggine che hanno reso così difficoltoso sfidare la nuova ondata di contagi, come è comprensibile che il potere centrale, al contrario, rimarchi i ritardi delle regioni sulla stessa materia: dibattere, rimproverare, persino opporsi fa parte dell’arte di argomentare tra istituzioni e tra forze politiche nella vita democratica. Addirittura la circostanza di ricorrere in opposizione alle disposizioni del governo fa parte delle condizioni legali garantite: domandare a un’autorità giudiziaria autonoma di determinare la congruità delle scelte non è un atto sovversivo.

La demarcazione è un’altra, e consiste nell’appello o nella disponibilità alla disobbedienza selvaggia. Se si alimenta questo percorso infausto si mette a rischio, l’efficienza delle misure anti Covid, e quindi la sicurezza dei cittadini e la loro salute. Ubbidire alle disposizioni, pure impugnandole, anche domandandone la sospensione a un organo giudiziario, è fondamentale. I contagi continuano ad aumentare, la capacità del sistema sanitario è messa a repentaglio, e con essa la vita di tanti cittadini. Giuste, errate o imperfette che siano le misure adottate, sono le uniche barriere che si possono contrapporre all’espansione del contagio e che possono provare a controllarne l’evoluzione. Anche chi considera che sussisterebbero migliori scelte o diverse ha il vincolo di ossequiare quelle che ci sono e di adoperarsi con i propri poteri e il proprio ascendente per farli rispettare.

La disciplina sociale è l’arma fondamentale ed essenziale per lottare il contagio, in una democrazia si può sempre dibattere sulla legittimità delle scelte e addirittura in certi casi contestarle per via legale. Ma disubbidire o sostenere la disobbedienza è inammissibile sempre, lo è in modo peculiare in una condizione di emergenza per la salute pubblica come quella presente.

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