I mali della nostra burocrazia

di Peppe Giannetto – I giornali, ormai santuari del pensiero della classe dirigente imprenditoriale e professionale, ci riempiono ogni giorno di preoccupanti considerazioni sulla burocrazia della nostra amata Patria. Il “Decreto Rilancio” ratificato nei giorni scorsi dal governo, ormai affermatosi come “Decreto Ritardo” per i tempi profetici nell’elaborazione, ne è solo l’ultimo prototipo di questo governo Conte. Nei suoi 256 articoli e 464 fogli, più dei Promessi Sposi o della Divina Commedia non troveremo direttive e norme semplici e flessibili, ma la consueta sfilza di commi e codicilli che richiederà un massiccio uso di circolari interpretative. Riservatevi un paio di appuntamenti con l’avvocato, pure con il commercialista o il consulente del lavoro: ne avrete sicuramente bisogno. Regolamentare la “Fase Uno” era molto più semplice e pratica: bastava ordinare e dire: “non allontanatevi dalla vostra abitazione”. Regolamentare al contrario la “Fase Due” è molto più difficile e tortuosa. Prendete per esempio le linee-guida dell’Inail per la prossima stagione balneare: manca solo che regolamentino anche il colore degli ombrelloni. Così i proprietari degli stabilimenti balneari, primi destinatari di queste direttive, si trovano davanti al solito problema e senza alternative: rispettarle per filo e per segno oppure chiudere l’attività. E lo stesso, si badi, vale per tutto il resto: dalla cassa integrazione agli aiuti per le imprese.

E pensare che basterebbe mettere in comunicazione fra loro le banche-dati dei diversi compartimenti della Pubblica Amministrazione, con tutti gli elenchi da allegare, delle autocertificazioni, delle carte di identità e delle liberatorie, tutti documenti cartacei che sparirebbero per avere un’autorizzazione. Ricordiamoci di tutta la carta fatta per le varie autocertificazioni nella “Fase Uno”.Il paese, lontano dagli show televisivi, è manifestamente dominato dalla burocrazia, dato che la classe politica per rinuncia, per convenienza o per insipienza ha oramai abdicato al suo ruolo. Il politico ormai recita il ruolo di mero portavoce, di attrazione quasi da luna park con la mascherina (talvolta anche messa male), quasi rasserenante, senza qualità e senza abilità, per mostrarsi esattamente come l’uomo medio, mentre il burocrate comanda, con l’obiettivo di riunire in sé, il potere legislativo, esecutivo e giudiziario, tumulando per sempre Montesquieu e il suo sorpassato “Lo Spirito delle Leggi”.

Le leggi quindi non sono più fatte da statisti ma dai governi, anzi dai “professionisti” del Consiglio dei Ministri: del resto, immaginate cosa ne uscirebbe fuori se le facessero i nostri parlamentari semianalfabeti in campagna elettorale permanente. Coalizione di governo sempre più malferma e debole, il corrente governo Conte con la sua variopinta maggioranza, non aspira nemmeno a fare leggi chiare e destinate a durare: piantano bandierine, con l’occhio solo alle prossime elezioni. E lo stesso, ovviamente, accade per le Regioni e i Comuni: cosi, alla burocrazia nazionale si aggiunge quella locale. In queste condizioni, come volete che siano fatte le leggi. Solo nel nostro Paese il termine “burocrazia” è avvertito nella coscienza collettiva con un’accezione totalmente negativa di staticità, inefficienza, malaffare e freno al progresso civile ed economico.  Si urla tutti contro l’intollerabile burocrazia, ma per molti questo è solo un comodo parafulmine per mimetizzare la nostra coda di paglia e rinviare ad libitum la soluzione dei tanti immani problemi che abbiamo. Questo Paese è l’Italia. Detto questo, le leggi, buone o cattive che siano, siamo pronti a rispettarle poi eventualmente a disapprovarle ma se ci fossero. “Ma”, aggiungerebbe il signor de La Palisse, sarebbe ancora meglio che fossero buone.

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