di Peppe Giannetto – Spero di non sbagliare, ma il “Cura Italia” del Governo Conte, facendo finta di non sapere del macchinoso aspetto dell’accessibilità al credito ha preparato una “ricetta” insufficiente che necessità urgentemente di essenziali ottimizzazioni, pena la demolizione del tessuto socio-economico di gran parte delle imprese italiane. Il Cura Italia avrebbe dovuto tutelare di più le micro, piccole e medie imprese. Le misure a sostegno (direi meglio a debito) previste in questo decreto sono insufficienti e di sicuro non forniscono un aiuto concreto a tutte quelle aziende, parte integrante del sistema produttivo italiano, che, a causa di questa pandemia, si trovano testualmente sul lastrico. E come se non bastasse sono eliminate dagli incentivi “di liquidità” le imprese che mostrano esposizioni catalogate come “sofferenze”, “inadempienza”, “inadempienza probabile” o che rientrano comunque nella concezione di imprese in difficoltà economica. L’ammissibilità delle imprese al Cura Italia, dovrebbe essere prevista fino ad una passività contabile in bilancio del 20% o, in subordine, le aziende dovrebbero poter presentare un progetto imprenditoriale concreto e valido per il rilancio dell’attività stessa.
In un momento così difficile dovrebbe essere presa in seria considerazione le esigenze di allentare i parametri di facilitazione alle sovvenzioni per consentire di avere accesso al credito (ossigeno indispensabile) anche a quei soggetti a cui oggi è negato con questo decreto. “Possiamo dire che lo Stato, con questo decreto “Cura Italia” porta le aziende solo a fare debiti, con tanta semplicità, senza quasi accorgersene. Si parla sempre male della Germania ma il modello tedesco stavolta dovrebbe fare da insegnamento per la messa a disposizione dei fondi, risorse fondamentali per le imprese. Bisognerà puntare quel famoso “bazooka” ad esaminare i veri tempi delle attribuzioni alle varie aziende augurandosi che siano spediti. Si rischia di essere improduttivi con questo “Cura Italia” in un momento di pericolo in cui si dovrebbe solo assicurare risorse per permettere la prosecuzione delle attività che hanno avuto un doloroso obbligo di break. Dovrebbe far riflettere per quel mese di chiusura delle attività commerciali questi aiuti sono bruscolini e che questi si stanno purtroppo sopravvalutando e sovrastimando. L’aiuto del governo, ma scriviamolo chiaramente e palesemente, non è altro che un “soccorso di tutti noi a noi stessi”, è proprio il minimo che le aziende si aspettavano. Con questi prestiti, questa è la parola giusta, non è immaginabile sperare o auspicare di riportare ai parametri di redditività le aziende pre-crisi.
Certo un ‘cigno nero’ di queste proporzioni nessuno poteva aspettarselo, ma gli aiuti così come sono stati scritti e concepiti sono insufficienti e devono essere ben presenti anche nel momento in cui si avranno e speriamo celermente questi aiuti. Ciò che non è stato tenuto da conto che questi aiuti sono da considerarsi solo come una misura di tamponamento delle passività createsi in questo periodo di inattività, in una prospettiva di rilancio delle attività produttive del pianeta Italia. In questa ottica accedere al debito potrebbe essere peggiorativo per adeguarsi al nuovo quadro commerciale in cui dovranno muoversi tutte le attività commerciali. Si dovrà pensare oggi allo ‘step 2’ per farci trovare pronti allo ‘step 3’ ricostruendo un nuovo rapporto di fiducia e di aspettative dell’intera filiera, dai fornitori ai consumatori”. Quindi i soldi ai cittadini vanno “dati” (e non “prestati”) per risarcirli di ciò che hanno dovuto e dovranno sopportare per effetto di negligenze ed imperizie governative. Occorre, ripetiamo, bisognava fare una valutazione più corretta per una destinazione di questi soldi in un’ottica futura ma non futuribile. Prima di chiedere questi prestiti è bene affidarsi a consulenti e a professionisti che conoscano bene il settore, quegli addetti ai lavori che, in virtù degli assidui contatti con il “mondo” delle imprese, percepiscano appieno il polso della situazione emergenziale in cui versano le migliaia di MPMI, parte integrante del sistema produttivo italiano. …L’amico dell’amico è meglio lasciarlo stare”.