La campagna “Abiti puliti”: bene indennizzi ma servono più garanzie
(DIRE) Roma, 10 Dic. – Oltre 40 persone sono morte in un incendio in una fabbrica tessile a Delhi, in India. L’incidente e’ avvenuto domenica nell’area industriale di Anaj Mandi, a nord della capitale e a rilanciare oggi la notizia e’ la sezione italiana della Campagna internazionale Abiti puliti (Clean Clothes Campaign), che riunisce ong internazionali impegnate per i diritti dei lavoratori. In una nota i responsabili scrivono: “Ancora una volta ci troviamo a dover denunciare l’esigenza di norme trasparenti ed efficaci per la sicurezza degli edifici e le pratiche antincendio. Il governo ha annunciato alcune misure di risarcimento, ma bisogna subito lavorare per garantire pieno accesso alla giustizia per le vittime e i loro familiari”. Secondo i media locali citati da Abiti puliti, l’incendio e’ divampato domenica mattina presto in una fabbrica situata in un’area residenziale di Delhi, all’interno di un edificio che ospita anche altre produzioni, non solo tessili. Molti degli operai, in gran parte migranti e alcuni di loro minorenni, stavano dormendo all’interno dello stabile. Gli attivisti denunciano ancora: “Palesi violazioni della sicurezza hanno impedito alle persone di fuggire e mettersi in salvo. Secondo quanto riferito, una delle due scale dell’edificio era bloccata dai prodotti accatastati, le finestre erano sbarrate e l’unica uscita accessibile era bloccata. Funzionari hanno riferito che lo stabilimento non disponeva di alcuna licenza di sicurezza e molte fonti sostengono che operasse nella completa illegalita’. Per di piu’, le strette vie in cui si trova l’edificio hanno ulteriormente ostacolato le operazioni di salvataggio”. Disastri come questo, si legge ancora nella nota, “mostrano l’urgente necessita’ di applicare norme antincendio e di sicurezza degli edifici in maniera trasparente e credibile. I sistemi di ispezione esistenti, compreso l’utilizzo di societa’ di certificazione sociale, pagate dalle multinazionali per controllare le fabbriche di loro fornitori, finora non sono riusciti a migliorare strutturalmente la sicurezza degli stabilimenti”. Come ricorda la Campagna Abiti puliti, il governo di Delhi ha annunciato lo stanziamento di circa 12.700 euro di risarcimento per le vittime del rogo e 1.270 euro per le spese mediche per i lavoratori feriti. Inoltre si e’ impegnato a pagare l’equivalente di 2.500 euro alle famiglie delle vittime e 635 euro a quelle dei feriti. Un’iniziativa che secondo gli attivisti “e’ lodevole ma non sufficiente. Gli indennizzi dovrebbero coprire le esigenze a lungo termine delle famiglie – tenendo conto della perdita di reddito e delle spese mediche – come stabilito nella Convenzione 121 dell’Organizzazione internazionale del lavoro in tema di risarcimenti in caso di infortuni sul lavoro. Inoltre, gli accordi dovrebbero tenere conto del dolore e della sofferenza subita dai lavoratori e dai loro familiari”. I difensori dei diritti dei lavoratori proseguono evidenziando che “non e’ ancora chiaro se la fabbrica indiana stesse producendo per l’esportazione o per il crescente mercato interno. In ogni caso, chiunque abbia effettuato degli ordini in quella fabbrica dovrebbe assumersi la responsabilita’ di risarcire le vittime che stavano realizzando i loro prodotti”. Gli attivisti si chiedono inoltre “come mai quelle persone stessero dormendo nella fabbrica, per di piu’ durante il fine settimana e con la produzione ferma. Non potevano permettersi i costi di un alloggio o del trasporto?”. Alla luce di questi interrogativi “si apre anche una questione relativa ai salari dignitosi dei lavoratori, in particolare di quelli piu’ vulnerabili come i migranti”. Infine, il comunicato si chiude sollecitando “ulteriori passi per garantire giustizia dei lavoratori e qualcosa sembra essersi gia’ messo in moto. Il governo di Delhi ha ordinato un’inchiesta giudiziaria e sono state presentate accuse contro il proprietario dell’edificio. Questa tragedia dovrebbe essere un’occasione per porre fine all’impunita’ di chi gioca con la vita dei lavoratori, gestendo luoghi di lavoro illegali e insicuri”. (Com/Alf/ Dire)