Filippo Ambroggio, agronomo, scrittore e musicista, è nato e vive a Reggio Calabria. Sposato e padre di due figli, lavora presso il Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Appassionato di calcio e musica, tifa per la Reggina, suona la chitarra e canta in un gruppo di rock-blues con il quale organizza eventi di beneficenza.
Già autore di numerosi saggi a carattere scientifico e divulgativo per conto di riviste e siti specialistici, ha intrapreso la carriera letteraria nel 2007 che è sfociata con la triade di romanzi “Il Rosa, il Porpora e l’’Amaranto” (2014) , “La Bionda, lo Sbirro e il Professore” (2018) e il recentissimo “Il Jazz, il Rock e il Blues”.
Com’è nata la tua passione per la scrittura e, in particolare, per il noir?
La mia passione per la scrittura risale al periodo della mia adolescenza. Da ragazzo scrivevo racconti surreali che chissà dove sono andati a finire… ne ricordo uno che parlava del rapimento di un cantante folk per la cui liberazione si chiedeva alle autorità il divieto assoluto di farlo esibire sui palchi. E poi, sceneggiature per commedie dialettali che i miei amici rappresentavano, articoli di cronaca sui giornali locali. Poi, in età più matura, in corrispondenza con la fine degli studi universitari, l’inserimento nel mondo del lavoro e la formazione della mia famiglia, ho scritto degli articoli scientifici e divulgativi su tematiche ambientali e naturalistiche. Nel 2007, poi, come San Paolo, arriva la folgorazione sulla via di Damasco quando ho scoperto la serie “Noir” di Repubblica. Da lì in poi ho cominciato a scrivere per il puro piacere di farlo. Ho iniziato con un racconto inserito in un’antologia prestigiosa presentata al Festival del Giallo di Cosenza che si intitolava Vento Noir. Poi, nel 2014 è uscito “Il Rosa, il Porpora e l’Amaranto” e nel 2018 “La Bionda, Lo Sbirro e il Professore”. Questo lavoro, “Il Jazz, il Rock e il Blues” è il volume chiude la “Trilogia del Tre”.
Il sottotitolo della triade è “I racconti del Serraviti”. Cosa vuol dire?
Certamente. L’immaginaria Vallata del Serraviti è il luogo dove si svolgono le mie storie. Il volume è composto da tre racconti uniti da un doppio filo conduttore: la musica e, come detto, la Vallata del Serraviti. Uno spaccato di vita reggina con la colonna sonora di tre generi musicali: il blues nella narrazione della vita di un ex legionario, il jazz nelle vicende di un professore universitario e il rock nelle vicissitudini di un avvocato.
Mi piacerebbe che approfondissi il racconto “Il Blues – Gli amori del Legionario”.
Questo racconto è dedicato ad un cugino di mio padre ed è ispirato ad alcuni episodi della sua vita. Il racconto parte dal periodo della seconda Guerra Mondiale con i bombardamenti che gli anglo-americani effettuarono sulla città di Reggio prima dello sbarco sulle spiagge reggine. Prosegue poi con le vicende si questo giovane che, per una serie di vicissitudini va a finire prima in Svizzera e poi in Germania e poi ancora – arruolato con la Legione Straniera – in Indocina. La storia, infine, si conclude a Reggio. Alcuni episodi sono ispirati a fatti reali altri invece sono inventati.
In questo racconto sembra di “respirare” l’atmosfera della Reggio degli anni Cinquanta…
In questo racconto la storia e le vicende familiari del protagonista incidono molto. Nella stesura del racconto ho riportato a galla i ricordi legati all’infanzia, all’adolescenza, alla gioventù passata ad Oliveto, un paesino del Comune di Reggio Calabria dove sono nato e dove vivo tuttora. Fino alla fine degli anni Settanta, in questo villaggio, in estate, la vita sociale si svolgeva sulle panchine della piazza, nelle viuzze (le rùe) e in inverno invece, ci si spostava nei frantoi, nelle osterie (le putìe) dove si chiacchierava, si giocava a carte ed era facile imbattersi in un gruppo di ragazzini che ascoltavano il vecchietto di turno che “interpretava” il ruolo del narratore. In questo contesto, era vivissima la tradizione orale, con il narratore che raccontava le storie dei briganti, delle battaglie che si combatterono nelle due guerre mondiali, la vita nel dopoguerra, l’emigrazione all’estero o al Nord Italia. E ancora, aneddoti che riguardavano la vita agreste, storie di gioventù, di superstizioni, di credenze popolari. Da questi ricordi ho preso qualche spunto per il mio racconto, messo in evidenza dai flashback generazionali e siccome la storia si svolge tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta ovviamente i ricordi dei “cunti” riferiti a quel periodo si riverberano nel racconto.
E invece a proposito de “Il Jazz – Il sax del Professore” cosa ci vuoi dire.
Anche questo è in parte ispirato ad un fatto realmente accaduto ad un mio amico di un paese della provincia che, durante il periodo universitario, a Cosenza, si era innamorato perdutamente di una sua collega. Poi, per varie vicende – dopo il periodo universitario – i due si sono lasciati e si sono persi di vista. Lei, successivamente alla conclusione degli studi, si è sposata con un tizio e, non so come, finì poi per fare la escort e la tenutaria di una casa di appuntamenti. La traccia del racconto parte da qui e da qui si intrecciano le vicende del professore che sono tutte di fantasia.
Questo racconto è dedicato a diversi musicisti…
Si. Tra l’altro, il mio pensiero è andato a diversi artisti reggini che non sono più con noi…
La musica appare sempre nei tuoi lavori…
La musica occupa una parte importante nella mia vita. Essa mi ha aiutato in diversi periodi “grigi” della mia esistenza e tutt’ora è uno dei miei interessi extra famiglia ed extra lavoro. Premesso che non sono uno strumentista di livelli eccelsi, con la musica riesco a ricavare momenti di relax e di gratificazione assolutamente unici.
… e c’è anche l’ambiente universitario.
Sono all’università di Reggio da più di quarant’anni, prima come studente e poi come dipendente ed in questi quarant’anni di cose strane ne ho viste. Vuoi o non vuoi qualcosa di ciò che è accaduto nell’Ateneo reggino, nei miei scritti rimane sempre!
Infine, cosa mi dici de “Il Rock – Il volo delle farfalle”.
In questo racconto mi sono divertito a descrivere il variegato e bizzarro mondo dei gruppi musicali non professionali. In questo ambiente, ci sono personaggi che potrebbero dare ispirazione a decine e decine di racconti. C’è chi si sente Vasco Rossi, c’è l’emulo di Ligabue, c’è il sosia di Elvis Presley. La cosa curiosa è che diversi di loro si prendono sul serio e da questo scaturiscono situazioni assolutamente singolari e stravaganti. A me è capitato di suonare in un gruppo (tutti professionisti in pensione!) dove c’erano due settantenni che, sia in sala prove che sul palco, litigavano come due ragazzini. Una storia davvero comica! Da questa situazione e da altre che ho vissuto o di cui sono stato testimone mi è venuta l’ispirazione per questo racconto.
Puoi anticiparci qualcosa sul tuo prossimo progetto?
Sto lavorando ad un romanzo ispirato alla vita di un grande artista italiano ma, per il momento, non voglio rivelare altro. Lasciamo un po’ di suspence ai miei dieci lettori.
Grazie e in bocca al lupo!
Crepi!
Antonella Postorino