Riceviamo e Pubblichiamo
Tutte le mattine, mi pongo la stessa domanda. Tutte le mattine mi sveglio con lo stesso pensiero. Se dovessi avere urgente bisogno di assistenza medica, se dovessi star male al punto da dover ricorrere alle strutture ospedaliere della mia città, a cosa andrei incontro?
Scrivo da cittadina, indignata.
Lo faccio perché la mia esperienza oncologica, mi ha posta di fronte ad una realtà che, tristemente, fa sprofondare in un abisso, quelle che dovrebbero essere certezze per ognuno, costringendomi ad andare fuori a curarmi, perché se fossi rimasta qui, probabilmente non sarei ancora viva. Non voglio attaccare la categoria dei medici e del personale ausiliario in cui si riscontra spesso professionalità e dedizione.
Voglio attaccare il sistema che non consente ai medici di operare al meglio e che pone nel dimenticatoio le necessità di chi, suo malgrado, si ammala. Un territorio subissato dai problemi, in cui tutto lascia intravedere la non curanza di chi dovrebbe lottare per sanare ogni cosa. E se la Sanità non funziona, tutto il sistema, è malato di una malattia incurabile. Un diritto costituzionalmente tutelato, il diritto alla salute, per come recita l’art. 32… Ma cosa vorrà mai dire “diritto”?
In senso oggettivo e secondo il nostro ordinamento, altro non è se non una norma dello Stato a tutela del cittadino. E cosa vorrà dire tutela, se non azione protettiva o difensiva, nei confronti di chi, subisce in modo fortuito ed imprevisto, i danni e gli effetti di una malattia, spesso invalidante.
E se poi, la Sanità pubblica non riesce a contenere quei tempi, spesso indispensabili, affinchè si possa evitare al malato conseguenze drammatiche, qual è la soluzione?In una terra martoriata, come la Calabria, dove tutto appare, agli occhi di chi osserva incredulo, insormontabile, coloro i quali, loro malgrado, si ammalano, vedono negato quel sacrosanto diritto di essere curati dopo una repentina ed immediata indagine clinica che permetta di addivenire ad una tempestiva diagnosi.
Ebbene, i malati si vedono negato tutto questo. Si vedono negato, di fronte a patologie acclarate ed invalidanti, la possibilità di cure e controlli strumentali al fine di controllare e monitorare gli effetti legati alle patologie.
E se in qualche modo, attraverso gli istituti privati convenzionati, si riusciva a risolvere la tempistica gravosa per poter sottoporsi ad esami e visite e arginare dunque le lunghe liste di attesa, nonché le problematiche legate a macchinari spesso non funzionanti o alla carenza di personale, oggi l’attuale modello sanitario, che riduce notevolmente la possibilità per le strutture private, di offrire i loro innumerevoli servizi, preclude ogni forma di tutela del malato che non potrà avere una diagnosi precoce e dovrà attendere i tempi tecnici, assolutamente assurdi, degli ospedali e delle altre strutture pubbliche. La Sanità pubblica ormai al collasso, non potrà sostenere l’oneroso e delicato impegno cui andrà incontro. Chi ci rimetterà se non i cittadini? Il problema legato alla sanità calabrese e nella fattispecie, reggina, denota ed evidenzia l’attuale degrado e sottolinea, una forte incapacità di utilizzare le risorse esistenti nella maniera più corretta e giuridicamente prevista.
Da cittadina, costretta a curarsi altrove con enorme dispendio di energie fisiche ed economiche, mi chiedo come si possa rimanere ancora inermi e non urlare ad uno Stato che pare abbia dimenticato questa terra, che i malati, non ricevono in nessun ambito, che sia ospedaliero o lavorativo, la giusta e comprensibile tutela.
E con la più triste delle indignazioni, dico, che non c’è sconfitta peggiore di chi osserva con superficialità la sofferenza altrui…
Daniela Labate