Comando Provinciale Livorno
È l’esito dei controlli della Guardia di Finanza di Livorno sui collaboratori domestici che, a fronte di assistenza prestata ad anziani e persone bisognose di cure, non hanno presentato la dichiarazione dei redditi pur avendo percepito compensi superiori agli 8 mila euro annui. Un risultato raggiunto con la collaborazione della Direzione nazionale dell’I.N.P.S., che ha riscontrato, con riferimento alla provincia labronica, un centinaio di posizioni poi risultate irregolari sotto il profilo fiscale.
Gli approfondimenti infatti eseguiti da tutti i Reparti dipendenti dal Comando Provinciale della GdF di Livorno, dal locale Gruppo alla Compagnia di Piombino, dalla Tenenza di Cecina alla Brigata di Castiglioncello, fino alla Compagnia di Portoferraio, hanno consentito di individuare 100 colf e badanti, 5 delle quali italiane, le quali, ancorché regolarmente assunte per lo svolgimento del “lavoro domestico”, non hanno ottemperato agli obblighi fiscali connessi alla percezione di denaro.
Va ricordato che colf, badanti e babysitter devono presentare la dichiarazione e versare quanto dovuto al fisco perché rappresentano lavoratori senza sostituto di imposta, cioè senza il soggetto che per legge si sostituisce al contribuente per le trattenute e il versamento dei tributi. Le persone controllate, prevalentemente di nazionalità ucraina (42%) e rumena (20%), hanno complessivamente omesso di dichiarare redditi di lavoro dipendente per un importo complessivo pari a 4 milioni di euro (con una media di 40 mila euro a persona e con un’IRPEF totale evasa pari a circa 300 mila euro).
Nella quasi totalità dei casi donne assunte con regolare contratto e con pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro. In sostanza, le badanti maturano una posizione contributiva ai fini pensionistici usufruendo dei servizi forniti dallo Stato – come, ad esempio, l’assistenza sanitaria – cui, nei 100 casi accertati, non ha però fatto seguito la corresponsione di alcuna imposta. Tra le situazioni più evidenti quelle di 4 donne, tra cui un’italiana, che negli ultimi tre/quattro anni hanno complessivamente percepito, ciascuna, redditi superiori ai 70.000 euro.
Nel cecinese, 5 badanti si sono giustificate affermando che “all’arrivo in Italia e all’assunzione come lavoratrici domestiche nessun datore di lavoro ha raccomandato loro di denunciare ai fini reddituali le retribuzioni percepite oltre gli 8 mila euro per anno, tanto è vero che per effetto dell’aumento sul territorio degli interventi del Corpo molte hanno scelto la strada della regolarizzazione”. Al contrario 3 datori di lavoro hanno asserito che le rispettive collaboratrici domestiche, “a causa dei controlli della Finanza hanno fatto rientro nel loro Paese”.
Singolare infine la storia di una cinquantenne ucraina, coniugata con figli, laureata in economia, che ha dichiarato di essersi trovata costretta a lasciare il lavoro svolto nel proprio Paese come segretaria, a causa del marito precario e di uno stipendio di appena 100 euro, troppo basso rispetto ai compensi mensili percepiti in Italia come badante, superiori ai 1.000 euro.