Il decorso 13 marzo, in esecuzione a decreto di fermo, emesso in data 10.3.2018 dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catania, la Polizia di Stato (personale della Squadra Mobile di Catania, in collaborazione con personale della Squadra Mobile di Trento) ha posto in stato di fermo: 1. E.Q.(cl.’80), tratta in arresto a Trento; 2. O.C. (cl.‘86), inteso “Don Bonbino”, tratto in arresto a Trento; gravemente indiziati, a vario titolo, in concorso tra loro e con altri soggetti allo stato non identificati in Libia e in Nigeria, dei delitti di tratta di persone in danno di connazionali e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con le aggravanti della transnazionalità, di avere esposto a pericolo la vita o l’incolumità delle persone trasportate, facendole imbarcare su natanti occupati da numerosi migranti privi di ogni necessaria dotazione di sicurezza, di avere agito al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione e all’accattonaggio. Il provvedimento restrittivo accoglie gli esiti di un’articolata attività investigativa di tipo tecnico avviata dalla Squadra Mobile di Catania – Sezione Criminalità Straniera e Prostituzione, con il coordinamento della D.D.A. etnea, a seguito delle dichiarazioni rese dal 26.10.2017 dalla responsabile di un Centro di Accoglienza aventi ad oggetto alcune minori giunte presso il Porto di Catania in data 11 ottobre 2017, a bordo della nave della Marina Militare francese “Ducuing”, unitamente ad altri 134 migranti di varie nazionalità. Le indagini tecniche, corroborate da attività di tipo tradizionale e condotte dal personale della Sezione Criminalità Straniera della Mobile di Catania, consentivano di individuare un gruppo di trafficanti legati da rapporti di parentela (dislocati tra la Nigeria e l’Italia), dedito al reclutamento, al trasferimento in Italia di giovanissime connazionali al fine di destinarle al meretricio: la madame, identificata nell’indagata E.Q. dimorante a Trento, aveva l’incarico di curare l’immissione delle vittime nel circuito della prostituzione su strada onde assicurarne la “messa a reddito”. L’attività tecnica permetteva di apprezzare plurimi contatti tra la predetta madame e le persone offese, ricostruendo esattamente tutti i segmenti della condotta del traffico di esseri umani gestito dalla donna e dai suoi correi, consentendo di rilevare la pluralità delle vittime trafficate e le continue minacce ordite ai danni delle stesse per sottometterle e soggiogarle psicologicamente: nel corso dei frequenti dialoghi con le vittime che tardavano a eseguire i suoi ordini, la donna ricordava loro che nessuno avrebbe potuto sentirsi libera con “i suoi soldi” (ciò poiché le giovani avevano assunto un debito verso la donna che avrebbero dovuto ripagare con i proventi del meretricio e il mancato rispetto dell’obbligo assunto si traduceva in un mancato guadagno, inaccettabile per l’indagata). Le indagini consentivano di evidenziare ancora una volta che il reclutamento delle giovani, tutte in condizioni di estrema vulnerabilità per la minore età, per il basso livello di istruzione e l’estrema povertà, era stato accompagnato dalla sottoposizione all’ormai noto rito religioso – esoterico del Ju Ju. Il ricorso al rito Ju Ju ed anche al più temuto rito Aielallà veniva effettuato dalla madame Queen anche nelle fasi successive al reclutamento e, in particolare, diveniva per essa imprescindibile allorchè una delle sue giovani vittime riusciva a darsi alla fuga sottraendosi al controllo: in tale occasione l’indagata E., previo concerto con la sorella dimorante in Nigeria ed anch’essa coinvolta nel traffico di esseri umani, meditava di rivolgere il rito ai genitori della ragazza in modo da creare ulteriori pressioni psicologiche sulla vittima, costringendola a far ritorno presso la madame (la giovane datasi alla fuga avrebbe sicuramente contattato i genitori e, appreso della loro sottoposizione al terribile Aielallà, non avrebbe avuto altra scelta se non quella di sottomettersi nuovamente al volere della madame). Da alcuni dialoghi tra E.Q. e la sorella poteva apprezzarsi la estrema crudeltà delle donne che progettavano di far sapere alle ragazze che avrebbero dovuto pagare il proprio debito non più a Q. ma al voodoolista che le aveva sottoposte al rito esoterico, in modo da pressarle ancora di più psicologicamente, rappresentando l’uomo il soggetto avente il dominio sull’anima della giovani vittime. Lo sviluppo investigativo permetteva altresì di rilevare il contributo fattivo offerto ad E. Q. dal compagno, O.C., inteso “Don Bonbino”, anch’egli domiciliato a Trento. In particolar modo l’intervento del predetto risultava determinante nella condotta di tratta posta in essere ai danni di un connazionale di sesso maschile: Q. e il marito, sempre con la collaborazione di parenti in Nigeria, avevano reclutato il giovane connazionale “Sasha” – nome di fantasia, n.d.r. – lo avevano sottoposto al rito Ju Ju, obbligandolo al pagamento di un debito, quindi lo avevano trasferito in Italia al fine di destinarlo all’accattonaggio e appropriarsi delle somme così percepite dal giovane. Sasha, tuttavia, non aveva adempiuto immediatamente l’obbligo assunto e non aveva raggiunto i coniugi a Trento sicchè i due correi avevano posto in essere pesanti minacce e pressioni affinchè lo stesso si recasse presso la loro abitazione al fine di stabilirvisi ed esser controllato continuamente ed efficacemente: nel corso di un dialogo con una connazionale in Nigeria E.Q. lamentava il mancato rispetto ad opera di Sasha del giuramento assunto con il rito voodoo, progettando anche nei suoi confronti la celebrazione del temibile “Aielallà”. Lo spessore criminale di O.C. risultava evidente dalla visione di un video dallo stesso pubblicato su youtube, che lo ritraeva con in mano uno scettro – rinvenuto dagli investigatori in occasione dell’esecuzione del fermo, ndr – mentre si muoveva e ballava tenendo in mano un mazzo di banconote che lasciava cadere con indifferenza a terra, ostentando la ricchezza accumulata. La sera del decorso 13 marzo, E.Q. e O.C. sono stati rintracciati da personale delle Squadre Mobili di Catania e di Trento presso il loro domicilio ed espletate le formalità di rito, sono stati associati presso la casa circondariale di Trento a disposizione dell’A.G. In data 16.03.2018 il Gip di Trento ha convalidato il decreto di fermo e disposto per entrambi la misura cautelare della custodia cautelare in carcere.
fonte — http://questure.poliziadistato.it/Catania/