Giorno 23 e 24 Novembre 2017 si sono svolti, presso la Camera dei Deputati, i lavori del seminario del Gruppo Speciale Mediterraneo e Medio Oriente della Assemblea Parlamentare NATO a cui ho avuto l’onore di partecipare. In quanto responsabile del Dipartimento Politica Estera e Sicurezza di FIG, credo che gli argomenti oggetto della discussione fossero di importanza estremamente rilevante. Nello specifico si è parlato di Siria e Iraq, della minaccia terroristica per l’Europa e i Balcani occidentali e di prevenzione della radicalizzazione e contrasto all’estremismo violento. Si è cercato di far comprendere come l’obiettivo delle azioni terroristiche non sia semplicemente uccidere. Le vittime del terrorismo sono un semplice strumento per fare paura, con la religione che funge da elemento di catalisi della violenza; quello che conta è la minaccia che, se abbastanza credibile, genererà panico anche nel momento in cui venisse a mancare l’esecuzione. Quante delle minacce di Al-Qaeda, prima, e dell’ISIS, poi, hanno realmente avuto seguito? Per questo motivo, quello terroristico, è un fenomeno che va trattato e gestito come una minaccia. Inoltre, oltre ad azioni militari e di intelligence, servono politiche che preservino i nostri valori perché, quella che si prospetta, potrebbe essere la guerra tra civiltà esplicata da Huntington. Si è inoltre parlato della crisi migratoria (bisogna fare attenzione ai termini utilizzati. I tanti accademici presenti all’evento non si sono fatti scrupoli nel definire quella odierna come una situazione senza precedenti e di eccezionale gravità) nel Sahel e la situazione libica e dell’evoluzione delle posizioni nord-americane ed europee sul medio oriente. Si è messo in evidenza come, soprattutto in Libia, la popolazione non ha fiducia nelle autorità statali mentre si fa affidamento all’imam di turno. Bisogna allora concentrare gli sforzi per rafforzare le autorità locali aumentando le opportunità economiche, sociali e culturali. Una vera e propria strategia olistica volta a raggiungere uno sviluppo stabile e inclusivo così da fermare i flussi direttamente nelle aree di crisi. Ma a chi spetta svolgere questo compito? All’Unione Europea? Alla NATO? Ai paesi direttamente interessati dal fenomeno (esempio l’Italia)? E, soprattutto, chi cercherà di ottenere il consenso delle parti in causa? Chiunque c’ha provato fino ad ora, dopo l’accordo raggiunto dal Governo Berlusconi, ha miseramente fallito. Unica nota negativa è l’assenza, totalmente ingiustificata, del Ministro degli Affari Esteri italiano, Angelino Alfano che, ad un tavolo composto da esponenti come Lord Campbell of Pittenweem (Presidente della Sottocommissione sulla cooperazione transatlantica in materia di difesa e sicurezza del Parlamento inglese), Frederic Wehrey (Senior Fellow, Middle East programme, Carnegie Endowment for International Peace) e Rosemary Hollis (Professoressa di Politica internazionale, University of London), ha preferito dare forfait preferendo altre questioni che, molto probabilmente, con i compiti a lui assegnati non hanno molto a che fare. Ennesima dimostrazione del fatto che questo governo non riconosce alla politica internazionale l’importanza che meriterebbe. Questo è quello a cui si assiste da anni oramai, manca nel nostro paese la sensibilità costante nei confronti di tematiche del genere e il prezzo che paghiamo è alto poiché, da protagonisti e decisori, oggi svolgiamo il ruolo dei passivi esecutori di decisioni prese da terzi. Gli affari esteri non sono un hobby per vecchie signore e, proprio per questo motivo, il confronto in Europa su queste tematiche appare perso in partenza se si analizzano le proposte della sinistra e dei grillini.
Deborah Molinaro – Responsabile Dipartimento Politica Estera e Sicurezza FIG Cosenza