“Il primo Ottobre, e quanto accaduto, non ha a che fare solo con un referendum sull’indipendenza di una regione: a galla affiorano vecchie questioni, probabilmente mai affrontate e non concluse fin dall’epoca della Transizione, quando Franco moriva nel suo letto e Adolfo Suarez si adoperava a rendere la Spagna una democrazia. Quest’ultima, e la libertà che essa, nel rispetto delle sfere di libertà altrui, fornisce ai popoli è fondata proprio su un passaggio fondamentale, da non ignorare né sottovalutare: la democrazia è prima di tutto fiducia del popolo nelle sue leggi . Leggi contenute in Costituzioni che fungono da baluardi della convivenza civile, da porta blindata a tutela della democrazia contro le barbarie. Certo, ogni costituzione non è qualcosa che nasce e va da sé, che rimane tale e quale immutata nel tempo. I principi ed i fini in essa contenuti, vanno alimentati, preservati e riadattati ai momenti storici. L’indipendentismo catalano ha provocato una delle più profonde crisi politiche spagnole e mette in allarme altri Paesi, in cui potrebbero essere alimentate simili spinte separatiste. Ma sono legittime le richieste del governo regionale catalano guidato da Carles Puidgemont? La risposta è no. Proprio per quanto riportato in premessa. Il Tribunale Supremo Spagnolo, l’equivalente della nostra Corte Costituzionale, aveva sospeso il referendum per dubbi di costituzionalità. Il diritto internazionale non prevede nessun diritto alla secessione ed il principio di autodeterminazione dei popoli non funziona proprio come spesso raccontato e di cui spesso si abusa. Esso, riconosciuto in diversi documenti, risoluzioni e trattati, nasce storicamente con dei destinatari ben definiti, per garantire ai popoli sottomessi al dominio coloniale di recuperare la propria indipendenza o in una fase più moderna per liberare i popoli da dittature, fenomeno definito dell’autonomia esterna. E la Catalogna non è né una colonia né un territorio sottoposto a regimi dittatoriali. Le immagini che arrivano dalla Spagna sono un misto tra demagogia indipendentista e cattiva gestione del governo iberico, quest’ultimo protagonista di una reazione spropositata. Ciò ha finito per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica, dei mass media e di forze politiche, sull’effetto e non sulla causa. Ha finito per nobilitare una causa non prevista dal diritto, in cui il popolo catalano, che manifestava pacificamente, ha assunto figure gandhiane mentre la Guardia Civil, che caricava sulla folla, ha assunto quella dell’oppressore, rievocando infelici ricordi. Ergo, si è fatto il gioco dei demagoghi e dei destabilizzatori delle democrazie dimenticando che le rivendicazioni secessioniste catalane furono uno dei motivi che portarono alla guerra civile del 1936. Noi da europeisti, che vogliono un’Europa migliore ma a cui riconoscono la figura di culla della pace, vogliamo soffermarci su alcune considerazioni.
a) La scelleratezza dell’uso della violenza è da condannare sempre. Il governo spagnolo, nell’usare la forza per reprimere l’esercizio del voto, ancorché costituzionalmente illegittimo, ha dato una pessima risposta
b) I populismi europei, di diversa estrazione, non hanno esitato alla rincorsa al Siamo tutti catalani. Questo è frutto di quella pericolosissima concezione della politica intesa come sfida sul campo dell’intercettazione dei sentimenti degli elettori e non su quello delle soluzioni, del buon senso, della rivendicazione del primato della politica incarnante i valori di chi, per raggiungere lo status democratico, ha versato lacrime, sudori e sangue
c) Gli stessi populismi, impegnati quotidianamente nel discredito delle istituzioni europee e che anche nella questione catalana additano queste di non garantire la determinazione dei popoli, omettono un passaggio molto importante: la Catalogna non vuole uscire dall’Europa. Spesso le spinte secessioniste, tralasciando le radici storico-culturali, sono mirate ad una maggiore contrattualità nei confronti dell’UE, che avrebbe poco senso all’infuori di essa.
d) Sono gli Stati che determinano la legittimità dei referendum. I Referendum indetti nel nostro Paese, in Lombardia e Veneto, sono previsti dalla Costituzione, seppur per una riforma, quella Bassanini del 2001, dono di una sinistra irresponsabile. Quello Catalano no. I primi due, di cui non condividiamo i fini, presuppongono l’unità nazionale. Quello Catalano la nascita di una nuova forma di Stato. L’Europa che vogliamo si fonda sull’unità e sulla condivisione, non sulla disgregazione. Identità può voler dire esperienze e culture che si fondono. Noi siamo cosentini, e ci sentiamo tali. Ma siamo anche calabresi e poi orgogliosamente italiani. Una provocazione (da premettere che non si può): cosa succederebbe se tutte le Regioni Italiane volessero votare per estromettere dal paese la Calabria? Anche quello sarebbe principio di autodeterminazione nazionale?
e) Il continuo ricorso alle urne non è levatore della storia, ne è il becchino. Confondere l’urna con la democrazia è dimenticare la storia: si votava in regimi tutt’altro che democratici. Il voto popolare, che è l’arma più alta e nobile di cui disponiamo, è tale proprio in quanto estensore dei principi costituzionali
Noi siamo sempre dalla parte della libertà e dell’autodeterminazione, contro la repressione e l’utilizzo della forza ma anche dalla parte della legge perché è proprio grazie allo stato di diritto se non viviamo nel caos, e se la pace tra i popoli è oggi realtà.”
Vincenzo Trotta e Deborah Molinaro (Forza Italia Giovani)