King Arthur – Il potere della Spada. Ho scelto di guardarlo da sola, con la sala del The Space completamente vuota, dato il mio scetticismo sull’ennesima pellicola che narra le gesta del giovane Re Artù (Già scottata dal King Arthur di Antoine Fuqua, 2004). Sì, proprio quello della spada nella roccia, Merlino, Camelot e compagnia bella. Decido di affidarmi alla regia di Guy Ritchie e ad un tenebroso Jude Law (ammettiamolo, come poter resistere al fascino di quest’ultimo?!). Da dove iniziare?
Partiamo dall’estro altalenante del regista Guy Ritchie che tra scivoloni (un esempio per tutti: Travolti dal destino, 2002) e non (The Snatch, 2000, e i due Sherlock Holmes, 2009 – Sherlock Holmes: Gioco di ombre, 2011), era riuscito ad alzare il tiro raggiungendo, finalmente, una propria e distinta identità stilistico-cinematografica che rende riconoscibile l’appartenenza di ogni sua pellicola.
Ma anche questa volta, Ritchie, alla sua seconda collaborazione con Jude Law nel cast principale, inizia a intraprendere un percorso duale e oscillante verso Camelot, riproponendo sul grande schermo una nuova versione del Re Artù (Charlie Hunnam) e della sua Excalibur nella roccia. Infatti, se da una parte abbiamo qualche dubbio sulla buona riuscita del progetto al botteghino (solo 43 milioni di dollari d’incasso contro i 175 del budget di produzione), dall’altra troviamo numerosi elementi che ci portano a riconoscere che siamo davanti ad un film dal grande potenziale, una sorta di successo a lento rilascio. Non è di sicuro una pellicola per un pubblico esigente, ma possiede al tempo stesso delle chicche filmiche che meritano un buon voto da parte dello spettatore, in special modo gli under ‘anta’.
(Piccola parentesi per i Nerd: sarà molto accattivante, per voi, la sequenza legata al passaggio di Artù nelle Terre Oscure, molto simile alla prova attraverso l’Oblio per il protagonista del videogioco Dragon Age, che per “abbracciare il proprio destino”, deve affrontare un incubo mortale. Così, anche Artù dovrà affrontare il proprio passato, che rivive parzialmente ogni notte durante il sonno, e abbracciare/impugnare il destino/Excalibur. Chiusa parentesi!).
Tra queste la scelta di giocare con ritmi veloci in sala di montaggio (come la sequenza dedicata alla crescita del piccolo Artù nei bassifondi di una cupa Londinium), e la macchina da presa (scene di inseguimento con Go-Pro montate sui personaggi coinvolti, con prospettiva laterale del primo piano). Oltre le nuove tecniche di ripresa e montaggio, Ritchie si affida ad una sceneggiatura che mira a lasciar fuori le informazioni che lo spettatore già conosce, grazie ad un proprio archivio personale legato alla leggenda di Camelot, e punta – invece – ad una narrazione leggera e ilare. Non c’è spazio per l’amore, non c’è tempo per spiegare, ma solo un incalzante susseguirsi di eventi verso l’ascesa al potere del tiranno (ma fascinoso) Law e la rivelazione della simpatica canaglia Hunnam, ossia il ‘legittimo re’.
Ilenia Borgia – Critico cinematografico