La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per la lentezza nel proteggere una donna e suo figlio dagli atti di violenza domestica del marito che hanno poi portato all’assassinio del ragazzo e al tentato omicidio della moglie. I giudici di Strasburgo, hanno stabilito che “non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio”.La Corte ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 14 (divieto di discriminazione) della convenzione europea dei diritti umani. I giudici hanno riconosciuto alla ricorrente 30 mila euro per danni morali e 10 mila per le spese legali. Si tratta, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” della prima condanna dell’Italia da parte della Corte per un reato relativo al fenomeno della violenza domestica. Il caso si riferisce a quanto avvenuto a Remanzacco, in provincia di Udine, il 26 novembre del 2013 quando il marito, ora in prigione, di E.T. uccise il figlio diciannovenne e tentò di uccidere anche la madre. La furia omicida si scatenò dopo che la signora aveva denunciato il marito e ripetute richieste di intervento rivolte alle autorità anche da parte dei vicini.
c.s. – Sportello dei Diritti – Giovanni D’Agata