Memoria è una parola di uso assai comune e, per molti versi, forse inflazionata
I bimbi la conoscono sin dai primi anni di scuola, quando imparano le tabelline, le poesie. La memoria è qualcosa di immateriale che tuttavia può essere perso. Nel tempo dei digital born (nativi digitali), addirittura, quando si parla di memoria il pensiero può correre a quella di un computer, di uno smartphone, di cui oggi nessuno può più fare a meno. Poi c’è la memoria storica: un concetto controverso che fa a pugni, in alcuni casi recenti, con il cosiddetto revisionismo che, a volte, serve a qualcuno per ribaltare ciò che nel tempo si è assunto come verità oggettiva di un fatto.
Negli ultimi anni la parola memoria ha assunto un significato quasi imperativo. Gli uomini hanno capito che aver memoria di alcuni fatti è un dovere imprescindibile. In particolare, se ricordare gli errori commessi per non incorrervi nuovamente è da sempre buona regola per migliorare una prestazione o evitare spiacevoli conseguenze, ripensando ad avvenimenti particolarmente tragici la facoltatività viene a cadere per lasciar spazio al dovere, all’obbligo.
In questo quadro si colloca il cosiddetto giorno della memoria che affonda radici in una particolare catastrofe, ma ci deve far riflettere sull’universalità delle catastrofi che l’uomo è stato capace di provocare e tutt’oggi provoca. Il giorno di riferimento è, come tutti sanno, quello della liberazione dei prigionieri ebrei nel campo di sterminio di Aushwitz, le vittime del nazismo in quello che sarà chiamato l’olocausto.
Non è bastato, evidentemente, scrivere questa data sui libri di storia; l’esperienza moderna ha fatto sì che questo giorno non venga solo ricordato, ma serva soprattutto a riflettere sugli errori che l’uomo con le sue scelte, a volte nefande, commette, e i cui strascichi materiali e immateriali hanno conseguenze sull’umanità per molto tempo a venire.
Quindi memoria deve significare ricordo di una lezione di vita. Per tutti: vinti e vincitori se l’errore si chiama guerra, morti e assassini se si parla di Shoa. E in questa prospettiva sembrerebbe tutto funzionare; potremmo sul serio dire che in fondo la vita è bella… si sbaglia, si impara e si va avanti, salvo poi svegliarsi da questo bel sogno e ritrovarsi a vivere l’incubo quotidiano del non impariamo mai… Quanto siamo stati recidivi! Quanti governi che si sono succeduti nel mondo hanno continuato a perpetrare olocausti!
Persino gli stessi ebrei lo fanno nella striscia di Gaza ancora oggi quando negano ad una madre palestinese incinta l’ingresso nel loro territorio per ricevere cure ospedaliere: verrebbe da domandarsi se hanno difficoltà di memoria anche loro.
Oggi, inoltre, le guerre indossano le vesti dell’intervento umanitario, con il nobile compito di diffondere nel globo la democrazia, semplicemente per bypassare le Costituzioni come la nostra, che abiurano la guerra come atto di aggressione: ma la gente, nella realtà, muore lo stesso sotto le bombe, siano esse sganciate per conquistare, che per liberare un popolo.
E se aggiungiamo, a queste semplici considerazioni, che da che mondo è mondo le guerre spesso non si fanno certo per i popoli, ma per biechi interessi economici e territoriali, ci rendiamo conto del motivo per il quale in alcuni casi questi salvatori della patria si astengono da qualsiasi intervento salvifico. È così che la povera gente, che viene dal sud del mondo, si ritrova a scappare in cerca di miglior fortuna e per farlo sfida l’uomo e la natura in una lotta spesso disperata. Lo ricordino e lo tengano a memoria quelli del “se ne tornino alle loro case”, magari facendosi raccontare dal nonno di quando eravamo noi costretti all’emigrazione e per nostra fortuna per farlo prendevamo un più sicuro, ma fino a un certo punto, vaporetto per l’America.
Ci dicevano a scuola che la lezione non va ripetuta a memoria, ma va capita e fatta propria. Questo deve essere la memoria: non un semplice slogan che lava per un giorno le facciate, ma un elemento della chimica umana che serva a ristrutturare davvero e in modo permanente le coscienze.
Maurizio Mallamaci