In territorio calabrese la nuova “Terra dei fuochi”?

C’è chi parla di un filo diretto col Nord Italia. C’è chi, come illustri pentiti, racconta di una “Terra dei fuochi” calabrese. Rumor risalenti agli anni Settanta. Ma la verità è ancora lontana dagli occhi. Non era solo la penna fantasiosa di Mimmo Gangemi autore de “Il giudice meschino”, un romanzo nato dall’attualità, dalle dichiarazioni del memoriale di un pentito relative a sotterramenti di scorie radioattive in Aspromonte, da parte della ‘Ndrangheta.

Per tanto tempo, dal mare alla montagna, la Calabria potrebbe essere stata non solo la “pattumiera” d’Italia, ma dell’intera Europa. Un luogo dove sarebbero stati smaltiti quintali di rifiuti tossici e radioattivi. Migliaia di fusti disseminati nell’entroterra di Calabria come anche in Basilicata e Toscana ed altre regioni italiane. Materiali in grado di contaminare le falde acquifere, con pericolose conseguenze per la salute delle persone e dell’ecosistema dei territori.

Un input partito dalla vicenda delle “navi dei veleni”, storia di un traffico internazionale di rifiuti tossici, in parte sommersi dalle profondità marine e in parte sepolti sotto terra. Un territorio già setacciato, almeno in parte, da addetti ai lavori, con l’ausilio degli elicotteri. La direzione investigativa antimafia reggina dal 2008 ha un fascicolo aperto contro ignoti per verificare se le tante storie delle scorie radioattive al di sotto della terra calabrese esistano o meno. Un “affair” quello dei rifiuti tossici in Aspromonte di cui parlano informatori delle forze dell’ordine e pentiti, indicando anche dei luoghi dove andare a cercare senza che però ci siano stati reali riscontri.

Di qualche giorno fa il rinnovo la collaborazione tra l’Arpacal (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria) e l’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte nell’ambito delle attività finalizzate all’implementazione della rete di monitoraggio denominata Resorad, una rete di sorveglianza sui valori di radioattività il cui coordinamento è curato dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), dettandone le linee guida. Il lavoro dei tecnici Arpacal si focalizza sui campioni prelevati nell’area Parco tramite analisi di spettrometria gamma e contribuisce ad implementare gli studi e le conoscenze dell’area protetta.

I dati ottenuti dalle attività di monitoraggio svolte lo scorso anno verranno resi pubblici non appena completato il lavoro sui punti di prelievo previsti, confluendo nella banca dati dell’ISPR. Fino alla conclusione degli accertamenti i dubbi restano…

Gabriella Lax

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