Rinnovo la mia solidarietà e vicinanza affettiva agli amici Marinella, Renato, Annalisa e Giulio Fiorenza e, naturalmente, a Vincenzio Linarello e a tutti i loro collaboratori per l’intimidazione mafiosa-ndranghetista subita per la settima volta; ma, come ho sempre detto e scritto fino alla noia, queste attestazioni, pur necessarie, non bastano più e devono essere integrate da iniziative fattuali ed efficaci. Per molto tempo ho posto infatti l’attenzione sulla necessità di andare oltre le giuste e necessarie manifestazioni di solidarietà; necessarie sicuramente per affermare la nostra vicinanza agli amministratori e agli imprenditori che subiscono atti intimidatori. Una vicinanza morale, affettiva, non sufficiente a colmare però le conseguenti difficoltà di tipo amministrativo, per quanto riguarda gli amministratori e di tipo economico per quanto riguarda gli operatori economici, soprattutto i piccoli operatori economici. Ma, soprattutto, non sufficienti a colmare il senso di solitudine che può prevalere sopra ogni altra cosa. Il timore è che, probabilmente, ancora non abbiamo preso veramente coscienza delle oggettive e gravi condizioni in cui sono costretti da troppo tempo ad operare le piccole imprese e gli amministratori locali dei Comuni calabresi, soprattutto dei piccoli comuni. Perché se vengono abbandonati da quanti hanno fatto della Legalità la principale trincea amministrativa per il buon governo e il bene comune, ne conseguono gravi conseguenze a carico della collettività, soprattutto il degrado economico e ambientale, la perdita d’identità culturale delle comunità, la perdita di valore del patrimonio locale e dei beni culturali. Come ho sempre sottolineato, in ogni mio intervento, non possiamo assolutamente dimenticare che la situazione difficile della locride ha l’origine negli anni ‘70-‘80 con i sequestri di persona che hanno costretto alla fuga tantissimi imprenditori e professionisti che, se fossero rimasti, avrebbero potuto porre quelle basi economiche, dal punto di vista della piccola impresa, dell’agricoltura e del turismo, necessarie a cambiare la nostra realtà. D’altronde non sono forse dei professionisti coloro i quali hanno investito in questo agriturismo e subito per sette volte un atto intimidatorio? E come non pensare ad una realtà come il GOEL che consente alla Calabria di essere conosciuta in tutta Europa uscendo fuori dal clichè con il quale spesso veniamo etichettati. E non c’è forse la necessità di porci delle domande riguardo al fatto che le iscrizioni nelle Università di Cosenza e di Reggio Calabria siano calate del 40%? Eppure oggi la Calabria ha delle buone università, però questo succede. Qualche anno fa una è stata fatta un’inchiesta tra i giovani universitari di Cosenza e molti di loro affermavano di voler andare via proprio perché non accettavano di far dipendere la loro professione dalla politica o dal politico di turno;perché nessuno di noi può negare che, in generale, la nostra è una Regione politico-politica-dipendente, perché è debole il tessuto economico. Quindi, se alla debolezza economica aggiungiamo anche gli attentati e le intimidazioni che non infondono nessuna fiducia nei giovani, perché non dovrebbero andare via? A nostro avviso occorre intraprendere una strada che abbia come obiettivo base la costituzione di una struttura regionale ad hoc che, avendo come riferimento la relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, presieduta dall’on Doris Lo Moro, porti avanti iniziative amministrative e culturali nelle comunità e nelle scuole e proposte di legge per la salvaguardia degli amministratori e degli operatori economici oggetto di intimidazioni. Per quanto riguarda gli amministratori occorre per fornire loro l’aiuto attraverso task force tecniche di supporto per non lasciarli soli ad affrontare quei passaggi amministrativi che magari costituiscono la causa scatenante delle intimidazioni. E’ la strada che avevo intrapreso come Ministro, in collaborazione con altri Ministeri( soprattutto Ministero della P. I. e delle Infrastrutture), per venire in aiuto ai Comuni in difficoltà, iniziando,per esempio, con un protocollo d’intesa firmato con il comune di Casal di Principe, comune simbolo vittima della camorra; un protocollo d’intesa firmato naturalmente quando i cittadini di Casal di Principe hanno espresso la volontà di cambiare eleggendo a sindaco un simbolo dell’anticamorra, già collaboratore di Don Giuseppe Diana e cioè Renato Natale. Per quanto riguarda gli operatori economici andrebbe previsto un fondo regionale da costituire – individuando e tagliando gli sprechi che si annidano nei meandri della burocrazia regionale – per alleviare i danni economici e materiali subiti dalle imprese e dalle cooperative e causati dalla criminalità organizzata. Tutto questo l’avevo già fatto presente al presidente Talarico e alla Commissione antindrangheta del precedente governo regionale, non ricevendo purtroppo alcuna risposta. Confidiamo oggi nel nuovo presidente della commissione regionale antindrangheta, il consigliere regionale Arturo Bova, al quale facciamo i nostri migliori auguri, certi, come egli stesso ha anticipato durante l’incontro alla Lanterna, della sua capacità e volontà di far si che la commissione antindrangheta intraprenda una nuova linea d’intervento amministrativo, soprattutto andando incontro e ascoltando la Società Civile nei suoi diversi aspetti. Non bisogna di dimenticare, tra l’atro, che centinaia di imprenditori, al sud come al nord, sono sottoposti al ricatto e alle minacce dell’usura, per cui lo Stato è intervenuto con una legge, la 108 del 1996, che istituisce due Fondi: di solidarietà per le vittime (art.14) e per la prevenzione del fenomeno(art.15), riferendosi soprattutto agli interessi praticati dagli usurai. Ma lo Stato ha dovuto, nel 2000, integrare la legge del ‘96 per interpretare anche i tassi applicati dalle banche che possono essere considerati usurari. Ricordo infatti il caso eclatante dell’imprenditore Nino De Masi che, da Ministro, ho anche vissuto in modo diretto nelle trattative con le banche per giungere a una soluzione ottimale, certificando la giusta battaglia di De Masi che è durata parecchi anni. Naturalmente, per non fargli mancare nulla, è stato intimidito a colpi di mitraglietta contro il capannone della sua azienda. Ma come possiamo dimenticare che anche i tassi normali per il sud sono il doppio di quelli del nord. Quindi al danno criminale si aggiunge spesso e volentieri la beffa di un costo del denaro sopra le righe della normalità. Ecco perché, se da una parte lo Stato si è assunto le responsabilità di venire incontro agli operatori economici con la legge contro l’usura, dall’altra la Regione deve approvare una legge che consenta agli imprenditori di superare da subito le difficoltà economiche in cui possono incorrere a causa di intimidazioni e attentati come è avvenuto per La Lanterna; anche perché spesso le dinamiche burocratiche dello Stato possono essere molto lunghe, vedasi caso Nino De Masi. Abbiamo avuto modo di leggere il rapporto della Regione Lazio del 2015 sull’infiltrazioni mafiose; solo da questa lettura si può realmente capire la portata della mafia a Roma e nella regione, una vera e propria ramificazione sul territorio parallela e/o contigua a quella scoperta in questi ultimi mesi più addentro negli affari realizzati attraverso la corruzione comunale. Ribadisco che è necessario dunque un rapporto sulle intimidazioni agli operatori economici perché, se complessivamente, dal 2000 ad oggi, sono stati registrati oltre mille atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali, forse anche di più saranno quelli contro gli imprenditori, come per esempio è stato rilevato in Sardegna, dove le principali vittime delle violenze non sono i sindaci, ma i titolari di attività economiche, dagli imprenditori ai commercianti, specialmente nel settore del turismo. Ciò che non ci è consentito fare è di rispondere, da calabresi, con l’ingenua meraviglia di chi pensa che in Calabria non possa essere la stessa cosa. Però abbiamo la necessità di conoscere al più presto la realtà del fenomeno nei confronti degli operatori economici. La ’ndrangheta è una struttura complessa, un insieme variegato di elementi che si rinviano e s’intrecciano: un «fatto sociale totale», che tutto contagia, inquina e contamina. Una sorta di «catastrofe» naturale e storica che devasta la Calabria e i mille luoghi dove si è ramificata. Raccontare il male non significa però creare una linea netta di demarcazione tra noi, i buoni, e loro, i cattivi. Raccontare il male significa sforzarsi di capire quanto di quel male ci appartiene. E ci appartiene con la pratica dell’illegalità diffusa, aperta o sotterranea, che consente di mettere a fuoco comportamenti, pratiche amministrative, abitudini e quant’altro costituiscono la base che consente alla criminalità organizzata di trovare già il terreno fertile per mettere in atto le sue azioni criminali con più facilità, con più “normalità”. Non è un paradosso allora affermare che la forza delle mafie sta anche fuori dalle mafie, ha detto Don Ciotti. Anche da qui bisogna partire per capire perché lo Stato non ha vinto la guerra contro criminalità, pur vincendo moltissime battaglie grazie alla grande professionalità dei Magistrati e all’abnegazione e al sacrificio della Forze dell’Ordine che, ogni giorno, con le loro azioni di contrasto e di prevenzione, riescono a infonderci quella fiducia che non sempre le decisioni politiche riescono a dare. E non la vincerà neanche oggi se non agisce anche con la Cultura della Legalità da intraprendere con le nuove generazioni. Ma un cultura della legalità non sporadica ed emergenziale, ma fondata sulla necessità di divulgare e insegnare soprattutto il senso della Responsabilità verso gli altri e il senso del DOVERE che implica le nostre scelte personali QUOTIDIANE, e sottolineo QUOTIDIANE. Perché la lotta all’illegalità diffusa è soprattutto una lotta QUOTIDIANA, una lotta che scaturisce dalla cultura del DOVERE DELLA RESPONSABILITA’, inteso come lotta alla illegalità vista in relazione al senso dello Stato, al senso Etico, politico e istituzionale della Costituzione. I suoi articoli infatti non hanno carattere astratto, ma si fondano sul BENE COMUNE CHE significa soprattutto il senso del “noi”, da intendere come sviluppo di comportamenti e di relazioni attraverso i quali ogni uomo mette in pratica l’etica della responsabilita’ verso se stesso e il prossimo.
Maria C. Lanzetta
già Sindaco di Monasterace
Direzione Nazionale PD