L’Arte, la Cultura e la Letteratura del mondo antico, soprattutto greco e romano, saranno al centro di una serie di incontri promossi dall’Associazione Culturale Anassilaos e affidati a giovani studiosi che, con le loro ricerche, confermano quanto importante sia quella civiltà. Il primo incontro, curato dal Prof. Amos Martino, docente di Italiano e Latino presso il Campus Scolastico San Vincenzo de’ Paoli e dottore di Ricerca in Filologia Classica (Università di Messina), ha avuto per tema “Vox quaedam. L’espediente narrativo del suono nella favola di Amore e Psiche (Apuleio, Metamorfosi IV 28 – VI 24)”. All’interno della celebre favola di Amore e Psiche, narrata da Apuleio tra IV e VI libro delle Metamorfosi, secondo lo studioso, è possibile riconoscere l’uso della dimensione sonora e uditiva quale vero e proprio strumento narrativo. Apuleio adopera il tema del suono in diverse occasioni; questo uso non consiste soltanto nel richiamo o nella creazione di immagini letterarie, ma anche nell’aver dato al suono una funzione privilegiata e riconoscibile, che ha il compito di sostenere l’intreccio della fabula e oliarne gli ingranaggi. Accolta nel palazzo incantato di Amore, Psiche viene circondata da suoni meravigliosi e incantevoli ma dei quali – scrive Apuleio – non può vedere la sorgente. Questa dimensione di piacere, e insieme di cecità, anticipa la condizione cui Psiche sarà sottoposta al momento della sua unione con Amore: potrà unirsi a lui, ma non potrà né dovrà vederlo. Il canale del suono, sia esso una voce o una musica, ha il privilegio di creare una comunicazione tra uomo e dio di cui si fa – è il caso di dirlo – portavoce. Perché ciò possa accadere, tuttavia, è necessario che il destinatario sia dotato di un animo sensibile tale che possa essere commosso dal linguaggio musicale. Psiche, infatti, si commuove al triste motivo lidio suonato dalla tibia nuziale quando, al principio, sa di essere condotta a nozze funebri; si lascia confortare da uno spettacolo musicale nel palazzo di Amore ed è sempre in ascolto delle voci divine. Diversamente, le sorelle invidiose e maligne sono il paradigma dell’antimusicalità, di chi, di conseguenza, è in opposizione alla divinità. L’autore, dunque, pare voler richiamare il potere psicagogico che già la tradizione greca aveva attribuito alla musica e al suono in generale. Da platonico, è ben consapevole di quanto l’anima possa essere suggestionata dai suoni, veri e propri incanti, che condizionano non solo il sentire ma anche l’agire dell’uomo.
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