Parafrasando un’antica locuzione latina, potremmo dire che De Luca è “Legibus solutus”.
Il tribunale di Napoli ha accolto il ricorso presentato dall’ex sindaco di Salerno, vincitore delle recenti elezioni regionali campane che lo hanno incoronato governatore. Il candidato del Pd era stato sospeso per effetto della Legge Severino, venendosi pertanto a trovare nell’impossibilità di assumere l’incarico. Sebbene fosse prevedibile un esito del genere, soprattutto a seguito della vicenda che ha avuto protagonista il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, quel che colpisce è sempre il clamore mediatico (e politico) rispetto al rapporto ormai controverso che si instaura tra rispetto della legge e rispetto della volontà popolare che, in democrazia, si esprime attraverso le elezioni. Il rischio che, in circostanze come queste, si possa creare, volenti o nolenti, direttamente o indirettamente, un cortocircuito giuridico non è da sottovalutare. Proprio di questo – ovvero del legame tra Legge Severino, elezioni e sospensione, si è ampiamente dibattito in queste ore.
Quel che è certo, tuttavia, è che il “principe-governatore”, come è avvenuto per altri prima di lui, è stato “sciolto dalle leggi”,
Il dibattito sulla Legge Severino
Non v’è dubbio comunque che la vicenda, semplice nella sua complessità tutta italiana, non mancherà di provocare polemiche e dure riflessioni in merito non soltanto al contenuto della suddetta Legge Severino, quanto soprattutto ai quei dubbi applicativi che, secondo quanto dichiarato dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, richiedono “interventi legislativi per consentire una loro reale efficacia e utilità”. Ma questa è storia vecchia.
Il doppiopesismo
Sta di fatto che, ancora una volta, seppur con le dovute distinzioni tra i singoli casi, il rischio del cosiddetto “doppiopesismo” si è tramutato in realtà. E questo non è ammissibile. Non è ammissibile che la giustizia continui a viaggiare su un doppio binario che, sovente, finisce con il danneggiare qualcuno e avvantaggiare qualcun altro (magari di diverso colore politico), come non è altrettanto ammissibile che l’appello al rispetto della volontà popolare valga a fasi (e circostanze politiche) alterne. Quella che in passato era poco più che una semplice sensazione, adesso sta diventando una certezza. Ma, ormai, lo si è capito: rispetto ad alcune crisi della democrazia, se cosi le si può definire, l’opinione pubblica può essere spinta a chiudere un occhio, rispetto ad altre no, probabilmente perché non sono sufficientemente rilevanti (da un punto di vista politico). A buon intenditor poche parole.
Il caso dell’ex premier, Silvio Berlusconi, è emblematico, come emblematico è quello dell’ex governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti che della vicenda ne fece addirittura una questione di principio e si dimise per non decadere. Vinse le consultazioni regionali con il 58% dei consensi (percentuale più alta di quella di De Luca) ma, per aver riportato in primo grado una condanna per abuso d’ufficio, prese la sofferta ma responsabile decisione di dimettersi ancora prima che intervenisse la Legge Severino. Anche all’epoca la normativa in questione fu duramente criticata ma in pochi – pochissimi – fecero appello alla volontà popolare e, quindi, al rispetto del risultato delle consultazioni elettorali. Niente di nuovo sotto al sole: doppi pesi, doppia giustizia, doppia morale. Alla luce di questi fatti, in un Paese normale e civile le elezioni calabresi – che peraltro hanno dato vita a una situazione surreale in senso all’amministrazione regionale odierna – dovrebbero (o povrebbero) essere annullate, perché, giunti a questo punto, anche nel caso di Scopelliti dovrebbe (o potrebbe) valere lo stesso identico rapporto controverso tra rispetto della legge e rispetto della volontà popolare espressa attraverso le elezioni democratiche, risvolto a favore di queste ultime.
De Luca, intanto, potrà beneficiare della decisione del Tribunale e, quindi, prendere parte alla prima seduta del Consiglio e procedere alla nomina della giunta regionale. E questo, Renzi forse lo ha sempre saputo.