Non accenna a fermarsi il trend negativo che sta caratterizzando ormai da diversi mesi la fiducia nei confronti del presidente del consiglio e del suo operato. Secondo i sondaggi di Nando Pagnoncelli, infatti, i consensi a favore di Matteo Renzi stanno progressivamente diminuendo, determinando un’ingente perdita a livello percentuale a favore dei leader delle opposizioni. “La fiducia in Matteo Renzi – si legge sulle colonne del Corriere della Sera – si attesta oggi al 36%, era al 61% al momento dell’insediamento ed era salita a oltre il 70% immediatamente dopo il successo delle Europee”. Non è trascorso nemmeno un anno da quelle elezioni che il Matteo nazionale è riuscito nella tragicomica impresa di erodere quasi la metà dei consensi, chiaro segnale, questo, del fallimento di una politica fondata (solo) su slogan e comunicazione ma priva di contenuti e prospettive degne del rispetto dei cittadini.
Prospettive enormemente migliori, invece, sono quelle che fanno sognare l’altro Matteo, quello padano, che oggi caldeggia il sogno di innalzare i vessilli del patriottismo (pur sempre federalista, ma rispettoso di tutte le identità) anche in Aspromonte e nel Tavoliere. Il leader del Carroccio, sempre secondo quanto diffuso da Pagnoncelli, è riuscito nell’impresa (questa volta non tragicomica) di arrivare anche lui al 36% raggiungendo l’ex sindaco d’Italia. Ma Renzi – e questo è un dato che dovrebbe far riflettere – non deve guardarsi solo dall’europarlamentare lombardo ma anche da quella che, secondo le speranze di qualcuno, potrebbe o dovrebbe diventare la Le Pen italiana, seppur con i dovuti distinguo. Si tratta del Presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che tocca quota 29%, quasi raggiungendo Beppe Grillo (risalito al 30%).
Sebbene non vi sia da stupirsi, considerati i recenti risultati delle elezioni regionali e comunali che hanno dimostrato come la luna di miele tra l’ex sindaco “democratico” di Firenze e i cittadini sia (quasi) finita, riportando gli italiani rovinosamente con i piedi per terra, i dati in questione impongono non poche riflessioni. La spesa pubblica rimane alta, dei tagli non c’è (quasi) neppure l’ombra, l’adeguamento delle spese sociali e sanitarie su tutto il territorio nazionale è un miraggio, i risultati in ambito lavorativo sono traballanti e incerti, il mese prima danno l’impressione di una ripresa per poi essere sconfessati il mese successivo. E adesso, come se tutto questo non fosse sufficiente, sul nostro tessuto bancario e sulla borsa rischia di abbattersi il pericolo del default della Grecia. E non è poco. Forse è giunto il momento di ammetterlo: probabilmente è il “progetto” (termine di per sè azzardato) renziano ad essere errato, a partire dalle sue fondamenta.