“E partorii. Ero rimasta due giorni in sala travaglio e mi avevano iniettato nelle vene delle sostanze per accelerare il parto.(…) Sfinita ed umiliata, dolorante ed impotente, mi sentivo come donna che fosse stata aggredita… Avrei voluto scappare, alzarmi dal lettino, lasciar perdere tutto e trascinarmi dentro una caverna. Lì, protetta dall’oscurità e dal silenzio, avrei voluto inginocchiarmi e partorire il mio bambino”.
20\07\2011 – Termini quali depressione, ansia, psicopatologia sembrano oggi di un cosi largo uso da poter dire che, in alcuni casi, se ne abusi per creare allarmismi a volte, altre per creare etichette e categorie che rendono più facile ed immediato l’ approccio ad una psicopatologia. La cronaca, negli ultimi anni, ha spesso menzionato eventi in cui violenze venivano atrocemente consumate verso i più piccoli, indifesi, verso i figli. Si potrebbe banalmente dire che le madre non sono più pronte ad affrontare le difficoltà legate alla gravidanza e alla maternità, ma studi e ricerche mettono in evidenza come la causa di questo malessere, sempre più rilevante e dilagante, non possa essere attribuibile alla mancanza di buon senso o all’ assenza dell’ “istinto materno” nelle donne. Si stima che, su circa 1000 donne che partoriscono, 150 soffrano di un disturbo depressivo, 20 circa di nevrosi traumatica postnatale e 1-2 di una patologia psicologica più pervasiva (psicosi puerperale). Almeno una 1 donna su 10 soffre di Depressione post partum (DPP) senza tratti psicotici. La stima dell’ incidenza è falsata da un elevatissimo numero di donne che non riconoscono e non chiedono aiuto per questo disturbo Con il termine depressione post partum (DPP), s’intende un disturbo depressivo, non psicotico, che inizia o si estende nel periodo post partum, di lieve o moderata gravità, caratterizzato da una sintomatologia sovrapponibile a quella di un quadro depressivo che si manifesta in altri periodi della vita. Umore depresso, tristezza, pianto incontrollato, ansia e/o attacchi di panico, sensi di colpa, preoccupazioni per la propria salute e per quella del bambino,senso di solitudine e difficoltà nel prendere decisioni sono alcuni dei sintomi con cui questo malessere, spesso sottovalutato, si manifesta. Diversi inoltre sono coloro che, in questo malessere “non tutto al femminile” ne sono coinvolti. Erroneamente da quanto si pensi, infatti, ad esserne “colpite” non solo solo le mamme, ma anche i figli e i partners a causa delle conseguenze che la stessa comporta a livello relazionale. Sulla donna sembrerebbe esserci un aumento della comorbilità con altri disordini psichiatrici: abuso di sostanze, disturbi d’ansia, disordini alimentari, disturbi della personalità e somatoformi. Inoltre la DPP comprometterebbe la capacità materna di prendersi cura del figlio, e, di conseguenza, anche quella della diade madre-bambino. I figli di madri depresse, infatti, presentano spesso una forma d’attenzione disregolata. Uomini che hanno una compagna depressa mostrano una probabilità molto più alta di sviluppare, loro stessi, una depressione rispetto agli altri (Areias, 1996). E’ necessario dunque riflettere su quanto la maternità, che ha inizio con la gravidanza, sia un momento delicato e fragile e quanto, al di là di cause e responsabilità, entrambi i futuri genitori siano chiamati a condividere e a supportarsi reciprocamente nella condivisione delle varie emozioni, positive e negative, ad essa correlate. Pertanto prendere consapevolezza che la DPP, in una buona percentuale di casi, non sia un disturbo che insorge improvvisamente nelle donne dopo il parto, ma un disturbo che interessa tutto il peripartum, ovvero l’insieme di tutti gli episodi, minori e maggiori, che si manifestano sia nel periodo gravidico che nei dodici mesi successivi al parto, può aiutare per sensibilizzare tutti coloro che condividono con la madre l’ attesa della nascita a supportarla e a vivere tutto il peripartum nel modo più sereno possibile per poter gioire poi, insieme, del lieto evento.
Antonella Sergi