C’è chi la droga l’ ha solo sentita nominare, chi ne è stato vittima e chi, come me, la droga l’ ha vista da vicino, l’ ha vissuta e la vive, non in una siringa iniettata senza percepirne il dolore, né in una pippata fatta nel bagno di una discoteca, o in una pastiglia ingoiata per il gusto di uno sballo..ma negli occhi di tanti ragazzi, troppi, che ogni giorno incontro sul mio posto di lavoro, in quegli occhi pieni di speranze disilluse, di sogni stroncati, di abbracci non ricevuti, di quei ragazzi, utenti di una comunità che, probabilmente fuori, per età o per qualche interesse in comune, sarebbero potuti essere i miei amici, e non i miei utenti! La società li chiama drogati, tossicodipendenti, delinquenti (spesso molti si trovano in comunità in seguito all’affidamento ai servizi sociali o per scontare una pena alternativa al carcere), e oggettivamente lo sono anche, ma troppo spesso si giudica e condanna la persona e non il comportamento, diventando cosi schiavi del pregiudizio, e negando ogni possibilità di riscatto, perché è più facile vedere quello che hanno fatto di cattivo o non hanno fatto di buono, piuttosto che fermarsi a pensare a cosa li ha portati li..perchè sono convinta che la droga non sia una scelta..ma una via di fuga, la più squallida forse, o semplicemente la più disperata! è una realtà dura e crudele, fatta di bugie e di sotterfugi, dei quali le prime vittime sono loro stessi. Anfetamine, cannabinoidi, cocaina, eroina, ecstasy sono solo alcune delle sostanze di cui non solo hanno abusato, ma senza le quali questi ragazzi, parafrasando Tagore, passano dall’ essere i giganti dei loro sogni ai nani delle loro paure, perdendo il contatto con la realtà. L’uso delle sostanze è stato interpretato dal farmacologo Ronaid Siegel (1989) in termini di “bisogno primario dell’umanità”. Le droghe sarebbero agenti adattogeni che aiutano gli individui a far fronte ad una serie di esigenze esistenziali, e nonostante siano diversi i fattori (individuali, culturali, biologici, sociali e ambientali) che possono influenzare l’assunzione di una determinata sostanza, nonché il prolungarsi del suo consumo e dunque l’insorgere di una dipendenza, è inevitabile sottolineare anche come non sempre la responsabilità della tossicodipendenza è del tossico. Numerose ricerche empiriche hanno dimostrato l’enorme importanza del ruolo esercitato dai familiari e dai coetanei nel determinare la vulnerabilità del bambino all’abuso di alcol e droga: la qualità della relazione genitori-figli sembra influenzare, anche se indirettamente, l’uso di droga. Il clima intrafamiliare, lo stile educativo adottato, i modelli proposti e le modalità di sostegno attuate dai genitori sono tutte variabili che concorrono nella costruzione dei valori e degli atteggiamenti rispetto a certi tipi di comportamento e nel favorire lo sviluppo di quelle abilità e competenze sociali che consentano di resistere e far fronte efficacemente alle difficoltà. Ecco allora che forse le responsabilità sono condivise e chiamano in causa chi ( genitori, amici, scuola, partner) non solo è stato sordo e indifferente a evidenti segnali di disagio e di malessere, ma ancor prima, acciecato dalle proprie aspettative, dalle proiezioni dei propri sogni, dai propri interessi, ha chiuso gli occhi di fronte a quel bambino che, sentendosi giorno dopo giorno più solo, ha fatto un tiro, ha provato, si è sballato…fino a diventarne vittima, forse semplicemente per provare a riempire quel grande vuoto che lo stesso è stato capace di colmare con la più grande ingannevole soluzione: la droga!
Antonella Sergi