14\02\2015 – Reggio Calabria – Quali siano le motivazioni serie e convincenti per le quali l’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati dovrebbe essere trasferita a Roma e Reggio, conseguentemente, declassata a sede secondaria, è davvero difficile capirlo. Eppure, come si ricorderà, l’Onorevole Rosy Bindi, esponente di un certo spessore del Partito democratico eletta in Calabria, nonché Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il 20 novembre scorso ha presentato una discutibile proposta di legge tramite la quale conseguire lo scopo suddetto a cui – è necessario ricordarlo per dovere di correttezza – si affianca anche la soppressione delle altre sedi. Questa controversa circostanza, già affrontata in passato e rispetto alla quale si era anche convenuto in merito all’opportunità e all’utilità del mantenimento della struttura nella città in riva allo stresso, rigetta nel calderone dello scontro politico, ma anche in quello del dibattito civile, una questione ancora più importante. Qual è la posizione che la città di Reggio Calabria, nonostante le tante dichiarazioni di intenti e a dispetto delle promesse di valutare un vero e proprio piano di sviluppo strutturale, sta assumendo (sebbene sarebbe meglio dire, ha ormai assunto) nell’ambito ormai difficilmente decifrabile di quello che il Partito democratico ha realmente intenzione di compiere? Questo perché, malgrado tutti i possibili sforzi culturali, la scelta in questione resta incomprensibile e agli occhi di una città – che sta attraversando una fase molto delicata sotto il profilo socio-economico e lavorativo, a cui ha contribuito una stagione commissariale certamente non facile ma, comunque, decisamente negativa – appare come uno scippo, l’ennesimo scippo. Un eventuale scippo – qualora questa dovesse essere la conclusione della vicenda – non soltanto lavorativo, considerando le attività svolte all’interno dello stabilimento, ma anche istituzionale. E questo è molto grave, soprattutto se si considera che proprio in questa fase che dovrebbe porre le basi per un rilancio sociale e un riscatto morale, Reggio rischia di perdere un presidio, appunto, istituzionale di grande importanza che, invece, dovrebbe essere potenziato. E ad andarci di mezzo, come al solito, sono proprio i cittadini, vittime sacrificali di un sistema politico (di rappresentanza e decisionale) che non convince. Proprio in quest’ottica, soprattutto nelle ultime ore, si stanno intensificando i segnali di dissenso e protesta, provenienti dal centrodestra cittadino, che promettono battaglia ed opposizione. In prima fila si è subito schierata la dirigenza femminile di Reggio Futura che attraverso una conferenza stampa ha provveduto a denunciare quello che potrebbe essere l’esito negativo di una situazione che danneggia – è facile capirlo – tutti. È bene che il partito democratico, anche attraverso i suoi rappresentanti locali che non più tardi di qualche mese fa hanno ottenuto la guida sia del comune di Reggio che della Regione Calabria, faccia chiarezza, esponendo motivazioni accettabili rispetto alla proposta di una sua parlamentare che rischia, assieme ad altre circostanze, di chiudere la città nell’armadio della roba usata. Quel che è certo è che questo rappresenta l’ennesimo atto, frutto di una scelta di natura meramente politica, che mortifica non soltanto le potenzialità della nostra comunità ma anche la fiducia in chi dovrebbe degnamente rappresentarla. È stato anche giustamente rilevato che, non gravando il funzionamento dell’Agenzia sulle tasche dei contribuenti, non si può fare neppure appello al piano governativo inerente i tagli alla spesa pubblica. E, comunque, anche nel caso in cui le cose stessero diversamente, non è certo in questo settore – di cui l’Agenzia rappresenta un simbolo di legalità in una terra compromessa dalla criminalità organizzata – che si possono applicare tagli del genere.