G7 rubrica Africa. Munangatire: ai giornalisti dico basta stereotipi

(DIRE) Roma, 5 Ago. – Podcast che viaggiano veloce via WhatsApp. E raccontano cosa va e cosa non va, denunciando malgoverno e proponendo soluzioni. Dalla parte dei cittadini. Con uno slogan, anzi una promessa di impegno quotidiano: “Let’s Fix Harare”, “aggiustiamo” la città. Parliamo della capitale dello Zimbabwe, la Salisbury dell’epoca coloniale, quando c’era l’apartheid e il Paese si chiamava ancora Rhodesia del sud. Di fronte c’è Henry Munangatire, 39 anni, giornalista esperto di relazioni internazionali, già collaboratore dell’Unione Africana e dell’emittente tedesca Deutsche Welle: il cronista che di quella promessa di “aggiustare” e risolvere i problemi è stato uno degli ideatori.

“A pubblicare i podcast è stata ‘Harare News’, un progetto editoriale nato nel 2012, in un anno pre-elettorale, di scontro politico a livello nazionale” ricorda il reporter,ospite nella redazione dell’agenzia Dire. “Al tempo del Covid-19 abbiamo preso il testimone insieme con alcuni altri colleghi e abbiamo puntato tutto su WhatsApp e sui contenuti audio: da tempo la crisi economica aveva reso insostenibile la stampa su carta e la popolarità dei social offriva l’alternativa”. La serie dei podcast si chiama proprio “Fix Harare”. E’ una proposta informativa che prevede contributi e inchieste a più voci, centrate sui diritti sociali.

“Finora la città non è stata in grado di garantire servizi efficienti” sottolinea Munangatire: “Penso anzitutto all’acqua, ai canali di scolo e al sistema fognario”. Il giornalista spiega: “È accaduto che anche in conseguenza della crisi economica dei primi anni 2000 infrastrutture che erano state pensate per assicurare forniture idriche a 600mila persone abbiano dovuto soddisfare le esigenze di quattro milioni e mezzo di abitanti”. Il risultato? “Tre residenti su quattro non hanno acqua potabile o di qualità, anche a causa dei problemi nella gestione dei rifiuti, che hanno una ricaduta sull’igiene” risponde Munangatire. “Ecco: come ‘Harare News’ in queste difficoltà abbiamo visto l’opportunità di animare una discussione su questioni locali che toccano le persone”.

Secondo il giornalista, non sempre i problemi non sono stati risolti. “Ci sono stati tentativi per avere più acqua pulita scavando pozzi ma la maggior parte della popolazione oggi resta priva di approvvigionamento” riferisce Munangatire. “Pesa uno stallo politico, con le tensioni tra l’opposizione nazionale, che governa il Comune di Harare, e l’esecutivo dello Zimbabwe, che continua invece a essere guidato dal partito Zanu-Pf”. Nell’intervista, nella redazione dell’agenzia Dire, lo sguardo è locale e allo stesso tempo globale. Offre spunti la partecipazione di Munangatire a un “master executive” organizzato a Roma dalla School of Government dell’università Luiss Guido Carli.

Nella capitale italiana giovani funzionari, dirigenti ed esperti di relazioni internazionali provenienti da 20 Paesi dell’Africa si sono confrontati per tre settimane sul tema della “Global Public Diplomacy” e del “Sustainable Development”. Parte del dibattito il contributo che i media possono offrire per avvicinare l’Europa ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Con Munangatire si parla allora di errori, stereotipi, tentativi andati male e ricette giuste. “La prima cosa che va capita”, sottolinea il giornalista, “è che l’Africa è un continente composto da 55 Paesi e migliaia di comunità e gruppi linguistici e che questo continente è il vero centro cosmopolita del mondo”.

Negli Stati Uniti esiste un blog, nato nel 2009 e ormai popolare, che si chiama “Africa is not a country”: un titolo per dire che bisognerebbe smetterla di confondere e distorcere.”Quando i media europei raccontano il continente dovrebbero riconoscere anzitutto il fatto che è un arazzo di diversità” la tesi di Munangatire. “In Africa vivono un miliardo e 400 milioni di persone, una popolazione e anche un Pil simili a quelli dell’India; ecco: l’Africa offre le stesse opportunità che all’Europa offrono l’India o la Cina”. A riflettere sui modi del giornalismo in Europa, in particolare in Italia, aiuta l’ultima edizione del rapporto ‘Illuminare le periferie’.

Si tratta di uno studio curato dagli esperti dell’Osservatorio di Pavia insieme con l’organizzazione della società civile Cospe, che analizza le scelte di emittenti televisive e giornali nel racconto dell’attualità internazionale. Si apprende allora che negli anni, invece di crescere, l’attenzione per le aree geografiche al di fuori dell’Europa è diminuita. E che l’Africa è una delle regioni del mondo che hanno subito una ulteriore marginalizzazione mediatica: se nel 2013 rappresentava il 13 per cento dell’agenda estera dei notiziari, nel 2023 il dato si è scesi al 5. Troppo poco: anche considerando l’attenzione che l’Italia promette con il Piano Mattei, un’iniziativa sotto il segno della conoscenza reciproca e del “partenariato da pari a pari”. (Vig/Dire) 10:00 05-08-24

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