Non serve il consenso preventivo di chi ha la servitù di passaggio sulla strada privata, ma l’angolo visuale va limitato all’area da proteggere evitando se possibile di riprendere i luoghi circostanti
Sì alla telecamera di sorveglianza montata all’ingresso di casa anche se può riprendere il vicino che passa di lì. È quanto emerge dall’ordinanza 7289/2024 pubblicata il 19 Marzo 2024 dalla prima sezione civile della Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n 119/2023 depositata il 13/01/2023. Non serve, infatti, il consenso preventivo dell’interessato, che pure ha la servitù di passaggio sulla strada privata: a escluderlo è il provvedimento di bilanciamento preventivo degli interessi adottato dal Garante privacy in data 08/04/2010.
Bisogna tuttavia verificare il rispetto del principio di proporzionalità: l’angolo visuale dell’occhio elettronico, infatti, deve essere limitato all’area da proteggere, evitando per quanto possibile la ripresa di luoghi circostanti sui quali i terzi vantano diritti.
È accolto uno dei motivi di ricorso proposti dal titolare del trattamento dei dati. Sbaglia la Corte d’appello a ordinargli la rimozione delle videocamere, condannandolo a risarcire 5 mila euro al vicino (la vicenda giudicata dal Tribunale di Nola, risale al 2011 e si applica il codice privacy prima delle modifiche apportate dal decreto legislativo 10/08/2018, n. 101 nel recepire il regolamento UE 2016/679 Gdpr).
Il provvedimento del Garante individua due ipotesi per le quali non serve il consenso preventivo informato: videosorveglianza e riprese nelle aree condominiali comuni; la prima riguarda i sistemi posti a protezione delle persone, della proprietà o del patrimonio aziendale, con le telecamere che riprendono, con o senza registrazione delle immagini, le aree esterne a edifici e immobili: dunque muri perimetrali, parcheggi, zone adibite a carico/scarico merci, uscite di emergenza.
Ad avviso degli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, rincarano la dose hanno spiegato che “L’errore del giudice di secondo grado sta nell’applicare in via analogica in materia di privacy le disposizioni dettate in tema di condominio a fattispecie non assimilabili come la servitù di passaggio sulla strada privata: il trattamento di dati personali, nel nostro caso, risulta effettuato da un privato per fini diversi da quelli esclusivamente personali.
E dunque il consenso preventivo non serve, ma spetta al giudice del rinvio verificare se il sistema di videosorveglianza funziona in modo da rispettare i principi di non eccedenza e di proporzionalità limitando al minimo indispensabile le riprese sulle aree di comune disponibilità”.
c.s. – Sportello dei Diritti