riceviamo e pubblichiamo
In un’opera del 1648, opera di un naturalista senese, Giovan Battista Ferrari si parla di una singolare usanza in pratica nella nostra città. L’opera tratta in maniera sistematica tutti gli agrumi fino allora conosciuti, completando la sua narrazione con aneddoti e curiosità. In particolare, il Ferrari nel celebrare le peculiarità dei cedri coltivati a Reggio, racconta una usanza che si è poi perduta nel corso dei secoli e che mi piace qui ricordare:
“A Reggio c’è una tale abbondanza di cedri, che i Reggini li usano per giocare: infatti, nel periodo di Carnevale, il martedì prima delle Sante Ceneri, si dividono in due squadre e si dispongono in un piazzale, una squadra più in alto e una più in basso. Una volta dispostisi, cominciano a guerreggiare tirandosi cedri molto duri, che hanno la consistenza della pietra. Li prendono dai giardini circostanti la città, dove crescono in grande abbondanza. La battaglia è cruenta e se per caso, a causa delle profonde ferite che si procurano, qualcuno dei combattenti viene meno, non si fanno scrupolo gli spettatori di prendere il loro posto. Tale battaglia avviene nel periodo di Carnevale….”
Il Ferrari riporta quindi che i cedri venivano prelevati dai giovani concorrenti nei giardini immediatamente a sud della città, cioè nella fertile pianura che si estende dal Calopinace fino al Sant’Agata e che all’epoca, ma ancora fino a qualche decennio fa, rappresentava la principale fonte di approvvigionamento agricolo, oltre a produrre i frutti che si esportavano in tutto il Mediterraneo e che avevano reso il nome di Reggio famoso.
La battaglia dei cedri inserisce pertanto la nostra città in quel più vasto tipo di gioco carnevalesco che sopravvive ancora oggi in diverse città d’Italia e d’Europa (vengono subito in mente Ivrea e Acireale) e che nascono proprio agli inizi del 1600, in pieno dominio spagnolo. La particolarità di usare Cedri era legata proprio alla profusione di tali frutti che si trovavano a Reggio, di cui questa è una importante testimonianza diretta.
Una piccola curiosità, che riporto anche nel mio saggio sulla storia del bergamotto, e che ci fa apprezzare qualunque brandello di storia che si riesca a ricavare scavando nei meandri delle fonti, per lo più ancora inesplorate, che ci presentano un volto della nostra bella città ancora poco conosciuto. (foto di repertorio)
Filippo Arillotta