Il Tribunale di Lecce: fumo passivo sul posto di lavoro, muore di tumore. Ministero della Giustizia condannato a risarcire familiari di un assistente capo di polizia penitenziaria

Il datore risarcisce la morte del lavoratore per cancro ai polmoni da fumo passivo. Danno patrimoniale e non alla vedova della guardia carceraria: sussiste il nesso causale con il decesso del de cuius, non fumatore. Il Ministero per anni non è riuscito a imporre il divieto

Da oggi maggiori tutele per i familiari del personale morto per malattie.  Il protagonista della storia è MSA, assistente capo di polizia penitenziaria presso la Casa Circondariale “N.C. “Borgo San Nicola”” di Lecce, deceduto l’11/07/2011 per carcinoma polmonare. Né lei, né i suoi familiari avevano mai fumato. Il giudice monocratico, Avv. Silvia Rosato, nella sua decisione ha ricordato che il codice civile “impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore”. Pertanto, spetta al datore risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali alla vedova del lavoratore morto per cancro ai polmoni da fumo passivo. Per lunghi anni si è sorbito il fumo delle sigarette che i suoi colleghi fumavano in ufficio. La vittima, che non aveva il vizio della sigaretta, è rimasto per anni esposto alle conseguenze delle abitudini altrui: l’amministrazione datrice non è riuscita a far rispettare il divieto. Decisiva la Ctu: in base a un criterio probabilistico rileva il nesso causale fra l’esposizione lavorativa del de cuius al fumo passivo, l’insorgere della neoplasia polmonare e il successivo decesso. No alla compensatio lucri cum damno sul danno parentale alla vedova.

È quanto emerge dalla sentenza 2407/2023 pubblicata il 5 settembre 2023 dalla prima sezione civile del tribunale di Lecce. La coniuge superstite dell’agente penitenziario, anche lei non fumatrice, ottiene dal ministero della Giustizia un risarcimento di oltre 647 mila euro per il danno patrimoniale e di circa 294 mila per quello parentale. Il primo importo è determinato detraendo quanto la vedova ha ricevuto a titolo di prestazione d’inabilità di riversibilità, mentre il secondo viene calcolato in base alle tabelle del tribunale di Roma e non risulta soggetto ad alcuna decurtazione per le voci indennitarie e per gli emolumenti previdenziali riconosciuti dalla legge e riscossi dalla donna per il fatto-reato perché il danno è patito iure proprio dalla vedova. Per almeno sei ore al giorno l’agente è costretto a subire il fumo dei detenuti: il corridoio davanti alle celle era una «camera a gas», conferma un testimone; mentre l’amministrazione penitenziaria non è riuscita a garantire adeguate misure di prevenzione, complice l’infelice dislocazione delle celle e l’esposizione dei locali: impone sanzioni ai trasgressori del divieto solo dopo il decesso del dipendente. Che muore a quarantaquattro anni, lasciando tre figli, a fronte di un’aspettativa di vita di ottantadue.

Per il Giudice monocratico, Avv. Silvia Rosato, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, ha ricordato che “Sussiste l’elemento sia oggettivo sia soggettivo dell’illecito: da una parte il nesso causale fra condotta antidoverosa ed evento pregiudizievole, dall’altra la colpa del Ministero”. L’importo liquidato per la perdita parentale alla vedova corrisponde a trenta punti nelle tabelle romane.

Comunicato Stampa “Sportello dei Diritti”

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