Lavoro. Italia terza al mondo per dipendenti in cerca di un nuovo posto

(DIRE) Roma, 12 Giu. – Negli ultimi anni il mondo del lavoro ha subito delle trasformazioni senza precedenti: in tutto il mondo, sempre più persone, hanno deciso di lasciare il proprio posto di lavoro, cambiare occupazione o addirittura stravolgere completamente vita e impostazione lavorativa. Complice di questo fenomeno è stata sicuramente la pandemia, che ha ridisegnato i modelli di lavoro e le priorità dei cittadini. Le cause profonde che portano a questa scelta sono le più svariate: tra le principali, l’incapacità del datore di soddisfare le proprie ambizioni professionali, il burnout causato da carichi di lavoro eccessivi, la ricerca di un posto che preservi il proprio benessere mentale e fisico, il desiderio di poter avere la possibilità di gestire le giornate di lavoro difendendo il proprio work-life balance o, ancora, un disallineamento tra i propri valori e quelli aziendali.

Secondo i dati del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, ad Agosto 2021 è stato raggiunto il valore record di 4,6 milioni di americani che hanno lasciato volontariamente il proprio posto. E nel 2022 il numero è rimasto invariato. In Francia, il tasso di dimissioni si è attestato sul 2,7% ad inizio 2023, mentre in Spagna circa 70mila lavoratori con contratti a tempo indeterminato hanno rinunciato al loro impiego.

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E in Italia? Secondo uno Studio di Randstad, il 29% dei lavoratori italiani starebbe cercando attivamente un nuovo impiego. A livello globale, il nostro Paese è al terzo posto della classifica rispetto a questo indicatore. A trainare l’esodo sono i lavoratori più giovani. La percentuale di persone che sta cercando un nuovo impiego, infatti, sale al 38% se si considera solo la fascia d’età compresa tra i 25 e i 34 anni. Il fenomeno della Great Resignation è ancora più evidente tra i lavoratori che appartengono alla cosiddetta Generazione Z, ossia quella costituita dai nati tra la seconda metà degli Anni 90 e la fine degli Anni 2000.

Nel Bel Paese, nel 2022 sono state registrate quasi 1,7 milioni di dimissioni volontarie in 9 mesi, con un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021. Sarà dunque per un mercato del lavoro che diventa più dinamico, per una scelta di vita diversa o per le conseguenze della crisi, ma il fenomeno delle dimissioni cresce e si fa trasversale. Tra le principali ragioni che portano le persone a dare le dimissioni, come accennato all’inizio, emergono l’esigenza di lavorare in una realtà più flessibile (32%) e il desiderio di avere incarichi più soddisfacenti (27%), come dimostrano i dati del rapporto dell’Ibm Institute for Business Value (Ibv).

Non solo, più del 40% degli intervistati ha sottolineato che l’etica e i valori dell’azienda devono risuonare con i propri, mentre il 36% ha dichiarato di apprezzare sul posto di lavoro le opportunità di apprendimento continuo. Infine, tra gli aspetti che le persone a livello globale considerano maggiormente nello scegliere un nuovo posto di lavoro, ci sono l’equilibrio tra lavoro e vita privata (51%) e le opportunità di avanzamento di carriera (43%). Questo fenomeno ha trovato una parziale risposta nell’aumento delle figure dei freelance, lavoratori indipendenti dotati di partita Iva con differenti adempimenti normativi e burocratici a seconda del regime fiscale di appartenenza.

Nella maggior parte dei casi, tali professionisti non hanno alcuna copertura assicurativa: non vi sono obblighi normativi in merito, viene infatti demandata all’iniziativa del singolo che sottoscrive autonomamente delle polizze sulla base delle proprie esigenze. In Italia, l’Istat ne stima 190.000, numero in costante crescita. Sei categorie professionali raccolgono più del 90% dei freelance nel nostro Paese: consulenza gestionale (22%), consulenza informatica (21%), spettacolo & intrattenimento (16%), grafica, arte e design (16%), marketing & pubblicità (10%), fotografia & videomaker (8%).

Una modalità di lavoro che oltre a molti vantaggi, però, porta a una concreta esposizione al rischio che potrebbe avere un impatto sull’attività professionale e la vita privata del lavoratore. Si pensi alla mancanza di copertura del sussidio di disoccupazione Naspi. Tra le incertezze, non dimentichiamoci anche l’imprevedibilità delle entrate, la possibile tassazione elevata e la preoccupazione di non riuscire a risparmiare abbastanza o di accumulare fondi per la pensione.

Pertanto, il lavoratore autonomo dovrebbe dotarsi di strumenti di tutela adeguati e prodotti assicurativi di copertura ad hoc dell’attività stessa e dei cosiddetti add-on da aggiungere alla responsabilità civile professionale principale. Si pensi ai danni che si possono involontariamente causare collaborando con i propri clienti e la conseguente richiesta di ingenti risarcimenti, attacchi ai propri dispositivi informatici oppure a un infortunio che può tenere il professionista lontano dal lavoro per tempi tutt’altro che brevi, minando la sua unica fonte di reddito.

La mancanza di una cultura assicurativa radicata nel nostro Paese potrebbe aumentare tale esposizione al rischio, se infatti è vero che l’Assicurazione per i Freelance non è obbligatoria, al contrario di quanto accade per i professionisti iscritti a un Albo o a un Ordine professionale. Proprio come tutti gli altri lavoratori, però, anche i freelance non sono esenti dai rischi connessi al normale svolgimento della propria attività e pertanto è importante che si tutelino da potenziali richieste di risarcimento o da danni economici derivanti dall’interruzione della propria attività. (Com/Red/ Dire) 06:25 12-06-23

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